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Mi devi un altro viaggio

  • Immagine del redattore: Fabiana
    Fabiana
  • 14 lug 2023
  • Tempo di lettura: 38 min

Aggiornamento: 20 ago 2024

C'è chi ha santi in paradiso e chi ha diavoli all'inferno.

Questa è la storia tra Miranda, Roberto e una vecchia Volkswagen riesumata da un buio passato.

La voglia di scoprire posti sempre diversi, un amore nato in punta di piedi fino ad attraversare qualcosa che va oltre l'umana comprensione.

Tutto scorre, esattamente come dovrebbe. O almeno così sembra.

Ma se un giorno la verità, quella tanto celata, fosse pronta a venire a galla, pronta ad inghiottire completamente il proprio mondo, cosa succederebbe?


Imparare a vedere


Un lento brusio si diffuse in tutta l’aula. Una semplice domanda, apparentemente, riuscì a mettere in crisi una classe intera. In quel momento mi accorsi che… Non vedevo più niente. Ma da quando? Quelle domande diventarono eco incomprensibile. Ci scambiammo sguardi straniti. Fin quando una voce esitante non ebbe il coraggio di chiedere «In che senso?». Quasi all’unisono ci girammo verso l’insegnante, nella speranza di ricevere una qualsiasi informazione in più per cercare di capire… «Nel senso che, se volete passare l’esame, dovete creare qualcosa che vi appartiene, affinando il vostro modo di vedere ciò che vi circonda e non. Vi lascio carta bianca, siate originali, unici. Buona fortuna».

Gli ingranaggi della mia testa erano partiti in quarta, ma trovare una soluzione immediata era quasi impossibile in quel momento… Erano mesi piuttosto difficili, la fiamma ispiratrice che mi guidava in tutte le mie opere, si era affievolita, fino a scomparire completamente. Oramai prendere il pennello in mano non era più un qualcosa di bello che mi riempiva di gioia, anzi era tutto il contrario. Ero arrabbiata con me stessa, mettersi davanti alla tela bianca e trovarsi davanti ad un panorama così oscuro, vuoto, sterile mi buttava in un vortice di sconforto… Non avevo più idee, non avevo più niente. Ma la cosa peggiore era non capire il perché…Se prima era la mano a condurmi verso nuovi mondi ora ero bloccata in questa triste e prevedibile realtà… Camminavo mentre pensavo, pensavo mentre camminavo…Mi guardavo intorno… Guardavo le persone fermarsi al semaforo rosso, o proseguire.. Guardavo i piccioni avvicinarsi al solito anziano del parco, in cerca di cibo. Guardavo la bambina di fronte casa mia giocare a palla, da sola. Guardavo le macchine correre nelle ore di punta. Guardavo una signora leggere uno di quei classici quotidiani, seduta in un cafè mentre sorseggiava un cappuccino. Ma continuavo a non vedere niente. ’Il tempo passa inesorabilmente…’’ …E alcune cose si ancorano fino alle viscere… …Ed io, mentre il braccio sorreggeva il peso dei miei pensieri, non potevo far altro che aspettare. Sapevo che per ogni domanda c’era sicuramente una risposta, almeno così è sempre stato… Eppure questa mia sicurezza, misto speranza, nel trovare una soluzione non mi dava certezze concrete… Da dove dovevo iniziare? E se nemmeno non mi bastasse una vita per trovare queste risposte? Ok. Ammetto di essere un tantino melodrammatica, però non avevo mai vissuto un periodo più buio di questo dal lato artistico, non mi piaceva vagare senza una meta. Ci sono pezzi di me stessa che avevo perso per strada, li dovevo solo trovare per ricompormi. Cercavo quella luce per le mie notti più buie. L’ispirazione che mi potesse portare via da questa noia quotidiana sempre più pe(n)sante. Giocherellavo con i miei capelli tagliati a caso, vittime di un pomeriggio in cui, mentre sfogliavo una rivista, rimasta colpita dal look di una modella, immediatamente decisi di riproporlo su di me…Il risultato è abbastanza chiaro. Presi le cuffie dallo zaino e feci partire Up and Down di Judy… Mentre le mie sessioni intensive di camminata proseguivano per gli archi bolognesi. Iniziai a mimare le parole della canzone con le labbra mentre cercavo profondità nelle cose comuni. Avevo bisogno di allontanarmi dal centro e andare dove c’era più tranquillità…Entrai in tempo sul primo bus che mi capitò davanti e, quasi senza accorgermene mi ritrovai a Dozza. Questa scelta casuale mi andava davvero bene. Forse inconsciamente volevo essere qui. Meravigliosa con le sue diversità, camminare fra i vicoli e guardare i vari murales mi metteva il buon umore…Arte così differente non poteva far altro che ispirare, i colori, la mano dell’artista mi facevano vedere voglia di viaggiare dentro di me e ricercare la mia di arte…Mentre fantasticavo sulle prossime creazioni arrivai vicino alla Rocca Sforzesca, una volta fermata mi ritornarono alla mente una serie di scenette piacevoli appartenenti ad una vita fa, di quando ero piccola e venivo sempre qui con la mia famiglia a giocare, io ero la principessa intrappolata nella torre e i miei genitori dovevano salvarmi dal drago cattivo, ruolo che puntualmente toccava a mia sorella maggiore, Lhea, interpretato divinamente viste tutte le volte che le chiedevo di farlo…Il solo pensiero di quei momenti mi facevano stare bene, come allora. Il sole iniziava la sua discesa mentre mi trovavo ancora in giro, con la stessa velocità dell’andata il ritorno fu piuttosto impercettibile. Tornai a casa. Girai la chiave nella serratura della porta, la spalancai, gettai lo zaino a terra, mi tolsi la camicia e coprii lo specchio, era una di quelle serate in cui non volevo vedere nemmeno il mio pallido riflesso in giro. Le luci in strada illuminavano quanto bastava la stanza, lasciando qualche zona buia, ideale per nascondere tutti i pennelli sparsi un po’ ovunque che non avevo la minima voglia di raccogliere. Schivati i piccoli ostacoli, mi sedetti sulla poltrona vicino la finestra, mentre continuavo ad avere uno di quegli infiniti monologhi con me stessa. Cosa vedevo? I ricordi, il passato, ma il presente non mi apparteneva. Da quando? Dovevo staccare la spina. Da sera si fece notte, era arrivato il momento di far partire Eyes Without A Face di Billy Idol, andai allo stereo, lo accesi, la musica mi vibrava dentro, fino alle profondità dei miei pensieri. Ballavo, scaricandomi completamente…Andai in cucina per prendermi un calice di cedrata e qualche cubetto di ghiaccio. Continuavo a farmi cullare dalle note, mentre sorseggiavo la mia bevanda preferita. Per oggi era tutto…Le ore che precedevano l’alba erano mie. Aprii gli occhi non perché ne avessi voglia ma perché il sole era abbastanza insistente e io avevo un biglietto del treno prenotato, in dormiveglia, qualche ora fa. Mi dovevo dare una mossa. Con estrema fatica mi alzai dolorante dal mio nuovo letto improvvisato, presi un borsone e ci infilai qualche vestito. Non c’è niente di meglio nel viaggiare leggeri. Soprattutto quando si ha meno di un’ora a disposizione. In tempo record ero pronta, per le scale volai, quasi letteralmente, e come al mio solito arrivai 5 minuti prima della partenza. Come si dice…Che fortuna! Una volta entrata mi accorsi che il vagone era quasi vuoto, c’erano solo due persone oltre me, un anziano che dormiva beatamente e un ragazzo più giovane che digitava in maniera energica sulla tastiera del suo pc. Ma alla fine, affollato o meno, avrei comunque preso le mie cuffie per isolarmi dal mondo esterno, dovevo solo stare attenta a non appisolarmi e perdere la mia fermata, It's My Life dei Talk Talk partì mentre, seduta vicino al finestrino, guardavo un paesaggio cambiare alla massima velocità.


Ritorno alle origini

Un tonfo mi svegliò improvvisamente, d'istinto guardai fuori dal finestrino, piena d'ansia ero convinta di aver perso la fermata, mi calmai all'istante non appena mia accorsi che ne mancava ancora una. 'Wow, per poco...'pensai mentre sudavo ancora freddo... Girandomi dall'altra parte mi accorsi che, il ragazzo del pc, aveva fatto cadere lo zaino a poca distanza da dov'ero seduta. Tra me e me lo ringraziai. Decisi di raccogliere le mie cose e di alzarmi per avvicinarmi all'uscita, almeno così ero sicura di restare sveglia. Aperte le porte, si aprì anche il mio cuore. L'aria di casa mi faceva sempre lo stesso dolce e malinconico effetto. Erano lì, tutti ad aspettarmi, con dei sorrisi che mi facevano quasi commuovere. Mi trattenni a fatica. Mamma mi strinse immediatamente in un forte abbraccio quasi da togliere il respiro. «Hey Mimì, buongiorno», mi disse papà. «Buongiorno pà». «Sorellina miaaaa», Lhea mi prese e mi sbaciucchiò tutta. Mi avvicinai abbracciandoli con tutte le mie forze «Mi siete mancati» ero vulnerabilmente sincera. Anche se la distanza fisica era breve, la distanza mentale era il vero problema. Durante il mio periodo di smarrimento mi ero allontanata da tutti, senza volerlo, avevo creato dei muri sempre più alti, muri alimentati da tutti quei sentimenti negativi che crescevano giorno dopo giorno dentro di me. Non volevo trascinare nessuno in quello schifo, pensavo di poter sopportare la mia sofferenza, ma non potevo sopportare la loro... Aver perduto la luce mi aveva fatto perdere di vista tutto il resto, è sempre questione di vedute, mancate... Ora che sono qui mi sembra di aver recuperato qualche anno di vita in più. Mentre li guardavo, ringraziavo. «Anche tu ci sei mancata, tesoro» mi risposero tutti insieme. «Beh è ora di tornare a casa», aggiunse papà. «Certo», gli sorrisi mentre mia sorella mi stringeva la mano, rassicurandomi. Una volta saliti in macchina ebbi la conferma dell'immenso amore che ci legava. Ero cresciuta in un clima dove l'amore, il rispetto e la collaborazione erano la colonna portante di tutto...Dove il dialogo era una parte importante...Ma forse alcune cose le avevo dimenticate... ...La lontananza non aveva fatto altro che peggiorare la mia situazione... «Allora, come stai?» Disse mio padre risvegliandomi dai miei dialoghi interiori, mentre accendeva la macchina. «Ora bene», presi fiato. «Però purtroppo da qualche tempo non riesco più a creare come prima, l'ispirazione sembra vermi abbandonata...Eppure la cerco, ma senza successo, sembra quasi evitarmi...». «Cercare?». «Osservando ciò che mi circonda...», risposi mentre ragionavo su quanto detto, i suoi grandi occhi scuri riflettevano nei miei, dallo specchietto retrovisore. Tanto scuri quanto chiari. Non replicai, mi limitai ad accennare qualcosa ma niente di più. Non era quello il momento. Mentre l'immensa campagna ci circondava avrei voluto scendere dal veicolo correre in mezzo ad uno di quei campi e urlare a squarciagola con tutto l'ossigeno del mio corpo. Solo per sfogarmi. Una volta percorsa la 'via alberata' sapevo di essere a casa. Sapevo che il mio posto era proprio . Entrati in casa salii al piano di sopra e lasciai il mio borsone, l'avrei disfatto nel pomeriggio con calma, ora volevo passare del tempo con la mia famiglia. Era l'ora di pranzo, questo significava preparare tutti insieme qualcosa. Un ritorno di una figlia quasi perduta. Una figlia un po' sciocca... C'erano tutti i miei piatti preferiti, sembrava una grande festa. Ci sedemmo a tavola e una Lhea affamata ci augurò un buon pranzo prima di addentare una polpetta di melanzane ancora fumante. «Ahia brucia!» spalancò la bocca mentre si faceva aria con la mano. Ci mettemmo tutti a ridere e poi iniziammo a mangiare. Il pomeriggio proseguì così, allegro e spensierato.​

Una volta in camera mia sistemai i vestiti, poco dopo sentì bussare alla porta. «E' aperto», dissi mentre aprivo l'armadio. «E' permesso?», Lhea entrò, si avvicinò al borsone e iniziò ad aiutarmi. «Mi sento scoppiare! Che bello!». «A chi lo dici...Sembrava Natale!». «Vero!». Ridemmo entrambe. Come si dice? Uscirono delle belle, grosse, grasse risate. «Beh come ti senti Mì?». «Ora sono serena, davvero». «Mi fa piacere sentirlo, sinceramente eravamo un po' preoccupati...Però vederti qui, davvero, è un'emozione indescrivibile...». «Anche per me lo è, non volevo far preoccupare nessuno, invece, ho fatto tutto il contrario, mi dispiace davvero...». Mi abbracciò, così, senza pensarci troppo. Risposi al suo abbraccio mentre le lacrime iniziarono a solcare il mio volto. Prese il mio volto tra le mani e, mentre mi guardava, mi disse. «Qualsiasi cosa ti passa per la testa parlane sempre, a qualsiasi ora, in qualsiasi momento...Siamo una famiglia ci siamo sempre gli uni con gli altri...Sempre e per sempre. Più orecchie, più occhi è utile per trovare soluzioni...». Teneramente mi sorrise. Ricambiai goffamente il sorriso. «Ti voglio bene sorella mia». «Anche io te ne voglio, tanto...E grazie per queste parole...davvero». Questo era il calore di cui avevo bisogno. «Ora asciuga questo bel viso e scendi giù con me». Prese un tovagliolo e, delicatamente, mi asciugò il volto. «Ma questo è il tuo preferito...». «Che ora è pieno del tuo muco!». Scoppiammo a ridere. Un'altra volta. La ringraziai e insieme raggiungemmo la mamma nel suo studio. Immersa nel suo lavoro, davanti al pc ed una scrivania piena di libri e fogli infiniti... «Hey mamma, ciao», disse piano Lhea. Alzò lo sguardo e ci sorrise. «Ciao ragazze, come va?». «Tutto bene...» Le risposi. Sapevo che avrei dovuto dare qualche spiegazione... In lontananza si sentii un cellulare squillare, era quello di Lhea. «Scusate, torno subito», ci avvisò mentre usciva dalla stanza. Ora eravamo solo noi due e io dovevo prendere in mano la situazione. «Allora, a cosa stai lavorando?» le dissi mentre mi avvicinavo alla scrivania. «Sto lavorando a dei nuovi geroglifici trovati in una tomba...» La passione con cui parlava del suo lavoro mi ha sempre affascinava, sin da piccola...Quando mi raccontava dell'antico Egitto restavo senza parole, ricordo come all'epoca avrei voluto seguire le sue orme, andare insieme sul campo e scavare per trovare testimonianze di questo straordinario e misterioso popolo...Ma la vita era ancora lunga e non conoscevo molto altro... Infatti il presente era un po' diverso da quella che immaginavo... Anche se nelle mie opere c'era un qualcosa che ricordava questo vecchio sogno, almeno così sosteneva diceva mamma. «Tu che mi racconti, Mimì?». «Beh in realtà anche io sto lavorando a qualcosa di nuovo, o meglio, dovrei, ma non ci riesco...» «L'ispirazione che manca. Capisco», aggrottò la fronte mentre si sfregava il mento. «Esatto...Abbiamo carta bianco quindi dovrebbe essere facile, ma non è affatto così». «Carta bianca, eh? Tutto il contrario, non è mai facile fare i conti con se stessi, scegliere cosa vale la pena o meno mettere su tela. Riflettere, pensare, scegliere...Tutte cose che richiedono una profonda riflessione con il proprio mondo interiore...». «Sì...Vorrei solo creare come un tempo...Vorrei che l'ispirazione tornasse a guidarmi...». «A volte più cerchi e più non la trovi. Non guardare il passato ma prova a guardare verso il futuro, verso l'ignoto e il nuovo. Non limitarti, ma ri-inventati, chissà, magari così l'ispirazione, incuriosita, ti verrà a trovare». «Ci provo, mi guardo intorno, ma non c'è nulla che stuzzichi il mio interesse...». «Che occhi usi quando ti guardi intorno?». Quest'ultima frase mi aveva trafitta la mente, mentre stavo rielaborando il tutto...Iniziare ad andare oltre...In quello che facevo non potevo, non dovevo limitarmi a ciò che è che sotto lo sguardo di tutti...Questo lo sapevo, un tempo almeno...Ma da quando mi ero trasformata in uno di quei cliclé che ho sempre evitato? I soliti pensieri galleggiavano nella tempesta della mia mente. «Cosa vedi ora?», la sua domanda mi colse di sorpresa ma risposi senza pensarci troppo: «Vedo te seduta davanti a me, con gli occhiali abbassati, sguardo vigile e attento, con il tuo solito chignon da 'sto lavorando a qualcosa di nuovo'. Fiocco della camicia allentato ma non troppo, trucco impeccabile, non vi è una goccia di sudore, nonostante le varie fonti di calore. La maggior parte dei libri sulla scrivania sono del tuo mentore, questo significa che il lavoro ti sta dando filo da torcere. Poi ci sono dei fogli con geroglifici, suppongo sia la scrittura ieratica...». «La tua attenzione ai dettagli e le tue conoscenze non ti hanno abbandonata, vedo. Bene, sei la stessa di sempre. Non ti tocca che abbattere quei muri mentali che ti sei costruita». Disse mentre indicò la mia testa. Ero partita in quarta senza che me ne rendessi conto, avrei potuto continuare ancora e ancora, descrivere ogni centimetro, forse anche ogni millimetro di quella stanza... «Se non sei ancora sicura mi potresti descrivere, in questo istante, ogni centimetro di tutte le stanze di casa, sono pronta ad ascoltarti» proseguì con un sorriso di sfida. «No no! Sono sicura! Poi dovresti continuare il tuo lavoro! Ora vado, ci vediamo dopo e buon lavoro mamma!!», di tutta fretta uscì dalla stanza, era capace di farmi descrivere tutta Bologna se non fosse stata sicura. Una volta arrivata in corridoio, iniziai a cercare mia sorella, provai a chiamarla, ma di lei non c'era traccia...La casa sembrava vuota, era sempre stata così grande o era una mia impressione?Il silenzio di quel momento cessò quando delle voci provenienti da qualche parte nel giardino mi fecero agitare. Anche se non capivo la provenienza mi bastava seguirle... Senza farmi vedere mi avvicinai il più possibile...C'era Lhea ed un altro ragazzo, impegnati in una conversazione piuttosto accesa... «Cosa dovrei fare, forse andarmene?» disse nervosa. Era raro vederla così, significava che l'argomento la coinvolgeva particolarmente. «E io? Vengo sempre dopo il resto? «Non è affatto vero, sono qui con la mia famiglia, con mia sorella che non vedo da tanto tempo...Ti ho spiegato la situazione Gian...» «Forse sono io il problema, forse non sono ben accetto» «Non ho mai detto nulla del genere... » «Ma forse lo pensi, Lhea, sai, ho notato alcuni cambiamenti, il tuo tono, il tuo sguardo ad esempio. Questa nuova te non mi piace affatto. Dovresti riflettere di più prima di parlare ed essere meno egoista» Silenzio. Mia sorella aveva abbassato la testa, senza ribattere. Le si avvicinò con tutta la calma di questo mondo, prese il suo mento, lo alzò e la guardò negli occhi baciandola sulla bocca, con gli occhi aperti, quasi a voler controllare la reazione. Dalla mia prospettiva riuscivo a vedere la sua freddezza, gli occhi vuoti e fissi, un sorriso leggermente percettibile che gridava vittoria. Mi venivano i brividi, ero come pietrificata dalla paura. Il mio corpo non rispondeva più ai mei comandi, quasi si rifiutava. Era come se avesse percepito qualcosa che io ignoravo. Poteva essere il tono, quella sua espressione così distaccata ad inquietarmi. Quel suo modo di fare, le cose che diceva sembravano vecchie battute di un copione che conosceva a memoria... Immobile, incapace di intervenire non potevo far altro che essere spettatrice di una scena che speravo si concludesse il prima possibile. «Bene, ora vado, ci vediamo presto» disse ad una Lhea che ormai era altrove. Ma prima di andarsene ebbe tutto il tempo di guardarmi in un modo che va oltre il semplice termine 'strano', lo sguardo della vittoria certa, sì, lui aveva appena vinto una battaglia, ma non la guerra. Solo dopo che era andato via il mio corpo riprese a muoversi, così andai verso mia sorella: «Come stai Lhea? » «Bene» mi sorrise, ma non come al solito, era più un sorriso di circostanza, per niente credibile. «Cos'è appena successo?» «Niente sorellina, va tutto bene» disse come se stesse recitando una di quelle poesie imparata per forza, a memoria. «Cosa andrebbe bene?» «Gian mi ama e farebbe di tutto per me, qualsiasi cosa» Non capivo se cercava di convincere lei o me... «...E io farei qualsiasi cosa per lui» Confusa, mi accorsi che si era ''spenta'', non sembrava nemmeno lei a parlare, ma uno zombie senza più capacità di controllo. «Lhea, scusami se mi permetto, ma hai ascoltato quello che ti ha detto?» «Certo, e aveva ragione, ho sbagliato io.» «No, non era questo quello che intendevo. Ti rendi conto che ti ha detto un mucchio di stronzate? Quella persona non ti conosce affatto!» «Lui sa tutto di me» «Sapere e conoscere non sono la stessa cosa Lhea. Cazzo, non c'è la faccio a vederti così, riprenditi!» iniziai a scuoterla, nella speranza di risvegliarla. «Ti voglio bene Mì» tornò in casa ignorando le mie parole. No, questo non è normale. Dovevo fare qualcosa, così la seguii per osservarla da vicino. Salì le scale per andare in camera sua, entrò e non sentii più niente. Preoccupata bussai «Lhea, posso entrare?» prestai la massima attenzione, nella speranza di riuscire a sentire anche il più piccolo rumore... «Vorrei riposare sorellina, a dopo». Non sapevo cosa fare, mi limitai a rispettare la sua volontà, così scesi al piano di sotto, in cerca di mamma per chiedere qualche consiglio... In studio non c'era e nemmeno nelle altre stanze. Avvertì un improvviso senso di solitudine e di sconforto. Mi sentivo persa, in casa mia, in un luogo dove ero cresciuta, dove avevo vissuto tutta una vita, in un luogo così familiare. Così chiusi gli occhi, nella speranza che tutto tornasse come prima... «Mimì, che fai?» era la voce di mia madre che mi chiamava. «Mà dov'eri finita?» ero piena di ansia. «Ero andata a prendere del sugo dal deposito, ma stai bene, sembri strana...». «Tutto bene, mi sono solo preoccupata...». «Che sciocchina che sei, lo sai che siamo tutti qui per te». «Hai ragione, ero solo un po' stranita...Mamma ti devo dire una cosa...». «Certo, ti ascolto» rispose distrattamente mentre si dirigeva in cucina. Ero dietro di lei, «Sai prima ho assistito ad...». Mia sorella era lì, in cucina, impegnata a lavare dei piatti... «Lhea che ci fai lì?» le chiesi sorpresa, non l'avevo sentita uscire dalla stanza...E nemmeno scendere le scale... «Aiuto mamma, ti unisci?» era la stessa Lhea di sempre. Almeno in apparenza. Anche se continuavo a non capire, ero contenta di vederla così tranquilla. Lasciai cadere l'argomento, mi rimboccai le maniche e iniziai a dare una mano. «Arrivo!» Sembrava una scena di uno di quei film per famiglie. Una scena già vista, già vissuta. Un déjà-vu? Una cosa normale, nulla di così importante. Eppure avevo l'impressione di sapere cosa sarebbe accaduto di lì a breve, istintivamente gridai «Attenta!» mentre spostai la mano di mia madre da sotto il coltello. «Oh grazie Mì, giusto in tempo...». Feci un cenno con la testa e continuai a preparare. Di cose strane ne stavano accadendo. Ma c'era una cosa più importante di questo. Mia sorella. Sapevo che non era quello il momento e il luogo, ma dovevo prendere l'iniziativa, affrontarla, anche se faceva finta di niente o si chiudeva in camera, dovevo assolutamente parlarci. Ero consapevole che poteva anche essere tutta una mia impressione e magari forse, dico forse, stavo ingigantendo la situazione, ma quelle sensazioni provate in quel momento, le vibrazioni negative che mi suscitava quella persona erano reali, così vive in me che al solo pensiero mi si accapponava la pelle, ancora una volta. Certo è, che trovare le parole giuste quando la situazione ti tocca così da vicino, non era facile, la mia famiglia è sempre stata il mio punto debole, ne ero consapevole, spero solo che ciò non sia un'arma a doppio taglio... Ma appunto, quello era un momento tranquillo in famiglia e non volevo turbare nessuno con le mie domande e supposizioni... Il momento del pranzo arrivò, così anche il pomeriggio. Una passeggiata era quello che ci voleva, così andai in giardino a godermi quella leggera brezza pomeridiana, ma dei rumori metallici, sempre più frequenti, mi incuriosivano, così, come al mio solito, andai in direzione del rumore, una volta arrivata davanti al garage mi ritrovai davanti ad un qualcosa che non avevo mai visto...Dal vivo almeno. Una Volkswagen vintage, non so perché, ma l'associavo agli hippy. Era bellissima, con questi suoi colori così brillanti, rossa e bianca, sembrava appena uscita dalla fabbrica... MI avvicinai incantata «è stupenda papà...» le parole mi uscirono da sole. «Sì è davvero molto bella, ne è valsa la pena sistemarla...». «Non sapevo che avessimo una macchina del genere ...». «Già, purtroppo è stata chiusa per davvero tanto tempo» «Come mai?» «La sua è stata una vita piuttosto breve e tragica...». 'Breve e tragica?' In un primo momento non capii a cosa si riferisse, ma subito dopo mi venne in mente una vecchia storia... «Non mi dirai che è quella macchina...?» ero sbalordita...Non ci potevo credere... «Purtroppo è quella...». «Ah ecco...». Volevo saperne di più, così presi coraggio e chiesi: «Cos'è successo?» «A tua madre non piace parlarne, ecco perché ti abbiamo solo accennato qualcosa, ma ora che sei abbastanza grande...Questo Minibus era di tuo nonno, lo acquistò nel '72 per viaggiare con la famiglia. Vedi Mimì, i tuoi nonni amavano girare l'Italia, e volevano che tua mamma, sin da piccola scoprisse il mondo. Pensavano che viaggiare potesse aprire la mente. Purtroppo un giorno, durante uno dei loro viaggi, successe l'impensabile...Fecero un incidente, tua madre e la nonna sopravvissero, ma, purtroppo, tuo nonno perse la vita sul colpo...Anche se, ancora oggi, non è chiaro cosa successe realmente, le dinamiche di quel giorno restano un mistero... Da allora tua nonna non volle più saperne nulla di quel Bus, lo chiuse nel garage e buttò la chiave». Mi si gelò il sangue, sospirai senza dire nulla. Guardai il veicolo ed una curiosità sempre più crescente si faceva strada nella mia mente... Capivo il perché non si parlasse mai di questa storia... Papà proseguì con il suo lavoro ed io con la mia passeggiata. Incrociai Lhea in giardino, «Hey sorella, sono passata dal garage e ho appena visto papà lavorare al Minibus, davvero bello». «Sì, anch'io sono rimasta senza parole appena l'ho visto, peccato per la maledizione...» «Maledizione? In che senso?» «Beh visto gli incidenti...Volevo dire l'incidente» si corresse immediatamente, quasi come se si fosse fatta sfuggire qualcosa di troppo. Su un errore potevo anche passarci su, ma su quella reazione esagerata no. Era palese che si era fatta scappare qualcosa che non doveva. Così chiesi direttamente «C'è stato un altro incidente?» aveva tutta la mia attenzione. «No no, ce n'è stato solo uno...Per ora» due parole chiare, anche se dette sottovoce, riuscirono ad arrivare alle mie orecchie. «Lhea, sii più chiara, quanti incidenti ci sono stati?» «Ragazze, che ne dite di rientrare?» Nostra madre ci stava guardando appoggiata al muro. Ma da quanto tempo era lì? «Arriviamo subito, vieni Mì» Lhea si agitò ancora di più, alzò il passo per raggiungere il prima possibile casa. Sospettoso. Tutto lo era, la sua reazione e anche il tempismo di mia madre, capitata lì proprio in quel preciso momento. Qualcosa stava cambiando, solo io sembravo rimane indietro, che fosse un passo o più di uno, ero lenta, mi sfuggiva qualche pezzo, magari proprio quel pezzo che potesse rendere chiaro l'intero quadro. Ma quella sera, tutto sembrava normale, come sempre. Durante la notte, ebbi più di un incubo, tutti legati al Minibus...Passai la notte in bianco. Il mattino dopo, non ricordavo i sogni ma le forti emozioni causate da questi...Oppressione, pericolo, sventura e perfino morte... Una volta svegliata mi accorsi come tutto questo non andava via, anzi, ero quasi sicura di aver vissuto cose simili in prima persona, ma non poteva essere reale, insomma mi sarei ricordata di qualche trauma o di eventi particolarmente scioccanti ... Lasciai perdere. Almeno fino al momento della colazione. Sapevo perfettamente che mi ero fatta trascinare da una storia passata e da qualche parola di troppo, ma ero fatta così, dovevo conoscere le cose, fino in fondo, e poi, magari, forse, lasciar perdere. Con mia madre in studio e papà a lavoro avevo campo libero. In casa c'eravamo solo io, mia sorella e cose di cui non riuscivo a darmi spiegazioni... La raggiunsi in veranda «Lè, come va?» «Davvero bene Mì, tu come stai?» «Benissimo, ogni volta che torno qui mi sembra di essere in un'altra realtà» mai come questa volta era vero... «Già, qui è così...». Ci scambiammo uno sguardo complice. «Sai, in realtà ti devo chiedere una cosa...». Mi puntò con uno sguardo di chi già sapeva dove volevo andare a parare. Ma non mi fermò, era in attesa. «Vedi ieri parlando del Minibus credo tu ti sia lasciata sfuggire qualcosa in più...» Il suo sguardo si fece severo «Lasciata sfuggire dici, forse sì e forse no» «Lhea davvero io...» «Vedi sorellina cara, a volte siamo noi che non vogliamo vedere la verità, forse perchè si attiva l'istinto di sopravvivenza che ci protegge, ma arriva un momento in cui questo non basta più» mi guarda mentre alza le braccia e indica quello che ci circonda «ma qui, ci siamo passati tutti, ecco perché è giusto che tu continui a camminare per la tua strada, consapevole o meno, sei tu e solamente tu a decidere in che direzione andare...Ricordatelo sempre» a malapena finì la frase, con voce spezzata, i suoi occhi diventarono rossi, si avvicinò e mi strinse a se «ti voglio bene e scusami se sembro strana in questo periodo, ti chiedo solo di aspettare e avere pazienza, tutto ha il suo tempo...». Le afferrai le spalle con le mani per guardala meglio in volto «Promettimi solo che saremo insieme..». Vedere mia sorella in quel modo mi faceva male al cuore, non lo sopportavo. «Sempre» e con il mignolo sancimmo questa nostra promessa. Realizzai che non tutte le risposte sono semplici, alcune richiedono del tempo, ed io di tempo ne avevo abbastanza...


Roberto


'Non ci siamo'.

'Linee troppo morbide'/'Linee troppo rigide'.

'La nostra clientela si aspetta altro da noi'.

'Manca qualcosa'.

Ennesima bozza scartata.

Ennesima nottata passata in ufficio.

L'azienda in questione era esigente, ma lo erano un po' tutte, il problema era il non avere abbastanza punti di riferimento, o meglio l'analisi di mercato aveva dato dei risultati piuttosto discordanti e questo aveva destabilizzato il consiglio aziendale e, di conseguenza, anche noi.

Nonostante la notevole esperienza alle nostre spalle, io ed il mio team eravamo in una situazione di stallo.

«Lù ormai sai quei sondaggi a memoria, che senso ha controllarli ogni volta?».

«Sono sicuro che ci sfugge qualcosa, la risposta è qui, davanti ai nostri occhi!».

«Sicuramente, la risposta sarà in uno di quei centinaia di faldoni».

«Esatto!»

Concentrato sul lavoro non diedi importanza ai vari battibecchi.

«Poi c'è il nostro caro Roberto, che come al solito è completamente immerso nel progetto...Hai qualche idea di come sarà questa benedetta macchina?» Vanu richiamò la mia attenzione.

«Sono in un vicolo cieco Và...» sospirai passandomi le mani tra i capelli.

«Sono sicuro che sarà pazzesca ragazzi!»

«Vorrei avere un po' della tua positività Luca» lo guardai con ammirazione.

Luca era una ventata di aria fresca, il più giovane del team, anche con la sua poca esperienza in campo aveva delle notevoli conoscenze che dimostravano che quella era la sua strada.

«Sono mesi che scartano tutte le nostre idee, chi ci dice che la prossima sarà buona?» esordì Gherard.

«Hey hey Ghè, non ti ci mettere anche tu» lo riprese Vanu.

«Io la immagino con le ali» ecco che Luca il visionario aveva iniziato a vedere qualcosa che noi non immaginavamo nemmeno.

«Certo Lù, con le ali, pronta per andare sulla luna» disse divertito Vanu.

«Perché no, potrebbe andare anche sul Sole, ovunque!» era entusiasta della sua idea.

Poi delle parole risuonavano insistentemente nella mia mente 'Ali' e 'resistenza'. Mi alzai di scatto, avvicinandomi a Luca «Lù sei un grande!» ritornai subito a sedermi e a lavorare all'idea.

Riuscivo a vederla già su strada, era pazzesca.

«Ragazzi venite a vedere» indicai lo schermo del pc «vedete, se utilizzassimo questo materiale per fare il telaio sarebbe leggera ma resistente allo stesso tempo e poi potremmo farla più...» le parole mi uscirono a tutta velocità, era come se stessi descrivendo un qualcosa che era proprio davanti a me in quel momento.

«...Oh ma certo! Con queste aggiunte si scosta dal modello precedente ma non del tutto, una versione innovativa, adatta ai nostalgici e ai tradizionalisti, ma comunque pronta per le nuove generazioni...» Vanu aveva centrato il punto.

«Oh Robè tu sei un genio!» Gherard mi diede una pacca sulla schiena.

«Ma è meglio di come l'immaginassi! Grande Robii!» a Luca gli brillavano gli occhi.

Mi sentivo a disagio nel ricevere troppi complimenti, cercai di distogliere l'attenzione su di me: «In realtà dobbiamo ringraziare Luca, se non fosse per la sua infinita immaginazione questo progetto non avrebbe mai visto la luce, quindi grazie mille» mi voltai verso di lui e annui soddisfatto.

Gherard interruppe subito quel momento felice «Ora però c'è la parte più difficile di tutte, convincere il consiglio»

«Grazie Ghè per aver rovinato questo momento!» Vanu si strofinò la fronte con la mano, mentre Gherard ci guardò dispiaciuto.

Lui era fatto così, si faceva prendere dall'ansia e senza inconsciamente la trasmetteva.

«Devo ultimare il progetto, se iniziassimo a preparare la presentazione per domani potremmo subito toglierci questo dubbio...»

«Ci mettiamo subito a lavoro» tutti presero i loro posti e iniziarono a mettersi all'opera, sapevano già cosa fare.

Lavorare con loro era stimolante, nonostante la diversità dei nostri caratteri eravamo entrati in una sintonia in cui bastava una parola o uno sguardo per capire cosa bisognava fare. Trovarsi sulla stessa lunghezza d'onda significava trovarsi a metà dell'opera.

«Va bene, ora mi metto al lavoro anch'io. Grazie ragazzi» iniziai ad entrare nel vivo della creazione, finalmente potevo dare sfogo a tutto ciò che avevo in testa.

«Ragazzi domani mattina alle 12 in punto abbiamo l'incontro con il consiglio» Ghè stava già sudando freddo, così Vanu gli si avvicinò, appoggiò il braccio sulla spalla «questa è la volta buona, me lo sento».

«O la va o la spacca» buttai una frase in tutta fretta, dovevo concludere entro questa notte.

Avevo appena finito e casualmente guardai l'orario, erano già le 7:00 di mattina. Mi girai verso i ragazzi, erano tutti addormentati. Pensai di come non fossero tornati a casa per colpa mia, dovevo sdebitarmi, così dopo essermi lavato il viso, scesi per andare al bar e prendere la colazione.

Mentre mi trovavo sotto gli archi notai una ragazza che li fissava come se non avesse mai visto niente di più bello, aveva un quadernetto e una penna tra le mani e scriveva qualcosa, mentre camminava, indossava un paio di cuffie più grandi del sul viso.

Sembrava smarrita eppure mi dava l'impressione di sapere cosa e dove cercare. Forse veniva da fuori o era ritornata...Mi stavo davvero facendo domande su una sconosciuta? Non era da me, ma quella ragazza mi aveva incuriosita.

Proseguii ed entrai nel bar, ordinai un bel po' di cose e tornai in ufficio.

«Buongiorno ragazzi, è arrivata la colazione» feci da sveglia a tutti.

L'unico ancora a dormire era Luca, così mi avvicinai a lui con il caffè e lo misi sotto il suo naso, piano piano si svegliò «buongiorno».

«Buongiorno raggi di sole, avevo proprio una gran fame!» Vanu iniziò a cercare la sua solita brioche nella busta «grazie amico mio» con un solo morso finì quasi tutto il cornetto.

«Tieni Ghè, qui c'è la colazione»

«Grazie Robi, è quello che ci vuole!»

«Mi dispiace siate rimasti qui tutta la notte per colpa mia...È il minimo»

«Abbiamo avuto problemi con la presentazione, tranquillo non è colpa tua»

Luca si alzò e si avvicinò a Gherard «è vero Robi, ha ragione Ghè, ci abbiamo messo più del previsto»

Sapevo che non era vero, ma non insistetti, apprezzavo il fatto che non volevano farmi sentire ancora di più in colpa.

«Allora ragazzi, a che punto siamo?» mancava ancora qualche ora all'inizio della presentazione.

«Abbiamo finito tutto, dobbiamo solo decidere chi parlerà» rispose Vanu.

«In realtà ci sarebbe giù un'idea su chi potesse farlo...» Luca mi guardò negli occhi, così come anche gli altri. Quando si dice che uno sguardo vale più di mille parole.

«Devo farlo io?» non avevo preso in considerazione questo aspetto. Ma per niente.

«L'idea è stata tua, è giusto che sia tu a parlarne, e poi hai un'immagine così chiara della macchina che sarebbe un peccato che tu restassi in panchina...» interruppi Luca «l'idea mi è venuta grazie a quello che hai detto, quindi sarebbe sbagliato dire che è una mia idea...»

«Robi, Robi, Robi, sei il solito modesto, ti vuoi forse sottrarre a questo compito? Non avrai forse paura?» sapeva perfettamente dove colpire, Vanu mi aveva appena lanciato una sfida e non potevo far altro che accettare.

Lo guardai «Se tutti siete d'accordo, allora, farò io la presentazione».

«Questo è lo spirito giusto! Fai vedere chi sei amico mio!»

«Siamo tutti d'accordo!» Gherard si tranquillizzò all'istante.

«D'accordissimo!» concluse Luca mentre mangiava l'ultimo boccone.

Speravo di essere all'altezza della situazione, ora che sentivo ancora più responsabilità sulle mie spalle dovevo dare il massimo del massimo. Tutti noi credevamo in quel progetto e bisognava trasmetterlo anche ai piani alti. Oggi si decideva il nostro destino.

«Ragà ci conviene avviarci in anticipo»

«Prima dovremmo darci una ripulita Ghè, vado a farmi una doccia» tutti seguimmo l'dea di Vanu, avevamo bisogno di toglierci la stanchezza da dosso. E i vari dolori della notte scomoda.


«Abbiamo preso tutto?» controllai se c'era il pc nello zaino.

«Sì tutto, non dovrebbe mancare niente»

«Dovrebbe??» Gherard sbarrò gli occhi e si fermò, stava per tornare indietro.

«C'è tutto, ho controllato per ultimo prima di chiudere» Vanu lo prese sotto braccio e alzò il passo.

Luca era dietro di noi, era quello che si godeva di più il paesaggio.

La strada dall'ufficio alla fermata del bus non era molto, quindi eravamo un po' più tranquilli, tutti tranne Gherard almeno.

«Finalmente siamo arrivati!»

«Andiamo Ghè! Arriveremo in tempo...Avrei dovuto prenderti una camomilla questa mattina al bar, non il caffè» ero divertito.

«Hai ragione, scusami, ma non avrebbe funzionato, ormai sono immune...» la sua battuta inaspettata ci fece ridere parecchio.

Tra la folla vidi un viso che conoscevo, era la stessa ragazza degli archi.

Questa volta intenta a guardare le persone, o forse studiarle. Con le sue inconfondibili cuffie e quaderno risaltava fra tutti, ora che ero più vicino vedevo la delicatezza dei suoi lineamenti e la particolarità di quel taglio di capelli mai visto, che fosse un lavoro fai-da-te? Per quanto fosse imperfetto le stava davvero bene.

Sbirciai sul suo quadernetto, era pieno di scritte e schizzi di oggetti e persone, pensai fosse un'artista o almeno un'appassionata, avevamo una cosa in comune. L'idea non mi dispiaceva affatto.

Non riuscivo a capire altro perché, purtroppo, non traspariva alcuna emozione e questo mi incuriosiva sempre di più.

Il bus era completamente vuoto, «Ragazzi venite da questa parte, ci sono dei posti liberi» Luca ci chiamò a gran voce mentre era già seduto nei posti in fondo. L’ansia era palpabile, la sicurezza di qualche istante prima sembrava vacillare, le nostre facce ne erano la prova. «Su ragazzi, cosa sono queste facce cadaveriche…» oltre ad un leggero sorriso forzato, nessuno di noi disse una parola. Vedendoci così a terra anche l’umore di Gherard si spense all’istante, iniziò a fissare un punto non definito del pullman. Vedere i ragazzi in quello stato mi dispiaceva, «Hai ragione Ghè, sembriamo dei fantasmi, dobbiamo riprenderci! Ci credete nel progetto?» Li guardai sorridendo, forse quello era il sorriso più forzato di tutta la mia vita, non ero affatto dell’umore, ma sapevo che dovevo fare qualcosa, era quasi un dovere per me cercare di trasmettere un po’ di fiducia, la stessa che ci aveva spinto a scegliere quel progetto. Se ero il primo a non credere nel nostro lavoro, come potevo pretendere che lo facessero gli altri? Non erano convinti, come immaginavo, «Ho detto, ci credete in quello che abbiamo creato? Non vi sento!» mi sentivo uno di quei motivatori che devono convincere gli altri a seguire i propri corsi… «Sì ci crediamo!» dai loro toni sentivo che qualcosa stava cambiando, in positivo…Allora funziona, pensai… «Scusatemi, ma sono io che ho un problema di udito o siete voi ad avere la voce troppo bassa? Potreste ripetere?» ero più convincente. «Sìì Rob, ci crediamo! E ci crederanno anche loro!» quest’altra risposta, in coro, era la carica che ci voleva. «Bene ragazzi! Perché anche io ci credo, soprattutto in voi, in noi. Andiamo lì e facciamo vedere chi siamo!» pensavo quello che dicevo, alla fine, anche se l’ultima parola era la loro, avevamo dato tutti noi stessi e andava bene così, davvero, forse anche essere arrivati fin qui, si può considerare una vittoria. Una volta davanti all’edificio, ci scambiammo uno sguardo e, annuendo, entrammo con sicurezza. «Non ci posso credere…» Gherard era senza parole.

«Datemi un pizzico, vi prego» aggiunsi ancora incredulo.

Ce l’avevamo fatta.

Tutti gli sforzi fatti erano stati riconosciuti e…Ripagati.

Con un grande applauso finale avevamo concluso questo capitolo, un’importante trampolino di lancio per noi, che ci avrebbe fatto conoscere ancora meglio nell’ambiente e probabilmente, avremmo avuto molto più lavoro...

«Mi viene quasi da piangere ragazzi» disse Luca mentre tirava su con il naso, per trattenersi «scusatemi…»

«Venite qua ragazzi» ci lasciammo andare in un abbraccio di gruppo.

«Ragà ora prendiamoci il resto della giornata per noi…Festeggiamoci!»

Il viaggio del ritorno era stato più sereno. Sentivo le loro voci come sottofondo, non riuscivo a concentrami quell’incontro mi aveva prosciugato tutte le energie. Non pensavo a niente.

«Robè, Robi, ci sei?» Luca mi prese per il braccio per richiamare la mia attenzione.

Lo guardai senza capire cosa stesse succedendo «Cosa?»

«Che dici se andiamo a quel pub vicino l’ufficio?»

«Ci sta una bella bevuta ragà»

«Solo una?!» rise Gherard.

«Per iniziare ahahah» gli rispose Vanu.

«Sì certo, va benissimo, magari passiamo anche dall’ufficio e posiamo tutta questa roba…»

«Esatto Rò, uniamo l’utile al dilettevole»

«Già» guardai Luca prima di tornare allo stato precedente…


Mentre chiudevo a chiave l’ufficio mi ricordai di aver dimenticato il portafogli sulla mia scrivania «Ragazzi, ho dimenticato una cosa dentro, iniziate ad andare vi raggiungo tra un po’»

Ok Rò, come vuoi, ti aspettiamo al tavolo»

«Vanu ma hai prenotato?

«No Lù sono semplicemente ottimista»

«Sei il solito Vanu» disse Luca mentre si passava la mano sulla fronte.

Una volta entrato mi presi qualche istante per guardare l’intera stanza, iniziai a riflettere su come sarebbe cambiata la nostra vita da oggi, speravo di continuare a lavorare con loro ancora per tanto tempo, ma qualsiasi cosa avrebbe avuto in mente la vita l’avrei accettato. Anche se non ero d’accordo.

Presi il portafogli e raggiunsi i ragazzi.

All’entrata del pub c’era scritto ‘serata karaoke’…Sarà una serata davvero divertente…Pensai…

Il posto era affollatissimo, fui accolto da Acque e sale di Mina e Celentano, ottimo inizio.

Cercai i ragazzi, ma era un’impresa piuttosto ardua vista l’affluenza.

Girai i tavoli ma niente, fin quando non sentii chiamare un paio di volte il mio nome «Roberto siamo qui!»

Erano in piedi vicino al tavolo per farsi notare, mi avvicinai «Come avete fatto a trovarmi se non sono riuscito a vedere nemmeno uno di voi?»

«Non è stato difficile, ci è saltato subito all’occhio un ragazzo che vagava con aria smarrita, eri proprio tu»

«Ti piace proprio raccontare barzellette eh Ghè?»

«Lo sai che se non fosse andato bene il lavoro come seconda opzione avrei fatto il comico»

«E avresti avuto successo» aggiunse Luca.

«Chissà» Gherard sembrava ci stesse pensando seriamente.

«Avete già ordinato in mia assenza?»

«Macchè, ti abbiamo aspettato»

«Diamo un’occhiata al menù allora» ero affamato e assetato…Avevo una gran voglia che la serata iniziasse.

Le ordinazioni arrivarono quasi subito mentre il presentatore annunciava i prossimi cantanti.

La serata scorreva tranquillamente, mentre sul palco si alternavano cantati di ogni genere.

«Guardate ragazzi, il paninetto» Gherard lo sollevò con una certa difficoltà, paragonandolo alla sua faccia.

Effettivamente erano davvero imponenti, ma non mi dispiaceva.

«Ghè se non lo vuoi lo puoi dare a me…Per gli amici sono disposto a sacrificarmi» disse Luca mentre stava per afferrare il panino.

«Tu si che sei un vero amico, ma non ti farei mai sacrificare da solo» addentò quella bestia di panino senza pensarci due volte.

Lo seguimmo a ruota.

«Ma ha sempre fatto dei panini così buoni?» disse Luca mentre masticava ancora il boccone.

Eravamo presi da quella squisitezza per rispondere alla sua domanda.

«Possiamo brindare a questa giornata?» alzai il boccale di birra.

«Discorso, discorso…» i ragazzi mi incitarono.

«Non sono bravo in queste cose, ma vi faccio i miei complimenti per il lavoro svolto, anche se il risultato sarebbe stato opposto a quello ottenuto oggi, mi sarei complimentato con tutti. La dedizione che ho visto in queste settimane, la voglia di sperimentare, di mettersi in gioco, mi hanno dato la conferma delle straordinarie persone e professionisti che siete. Brindo a voi, a noi come amici e come team. Grazie».

«Anche noi ti volevamo ringraziare, sei stato quello che ci ha creduto più di tutti, sei quello che ci ha portato sulla strada giusta anche quando i risultati erano deludenti» Vanu prese il suo bicchiere e lo avvicinò al mio.

Lo stesso fece Luca «Lo pensiamo tutti Rò, sei davvero eccezionale»

Infine si aggiunse Gherard «Beh avete detto tutto voi cos’altro posso aggiungere? Siete dei grandi e lavorare con voi mi spinge a fare sempre del mio meglio, sono sicuro che possiamo fare davvero grandi cose. Non lasciamoci mai!»

Ci mettemmo a ridere mentre brindavamo.

La serata si concluse non troppo tardi, la stanchezza accumulata iniziava a farsi sentire.

«Grazie per la serata, ci sentiamo ragà, buonanotte» Luca ci salutò e andò via per primo.

«Seguo Luca, a buonanotte a tutti»

«Andiamo nella stessa direzione Vanu aspettami» Gherard mi salutò con la mano prima di incamminarsi.

Io abitavo nella direzione opposto alla loro, ma prima di tornare a casa, volevo godermi quella serata, così iniziai a passeggiare.

Camminai talmente tanto da ritrovarmi in una zona che conoscevo a malapena, alzando lo sguardo vedevo le luci accese degli appartamenti, tranne di uno.

Riuscivo ad intravedere una persona seduta illuminata solamente dal lampione che aveva quasi di fronte.

Socchiusi gli occhi e la vedevo chiaramente.

Anche se sembrava guardare un punto ben definito in realtà non stava guardando niente di preciso, era semplicemente lì immobile, impassibile.

Uno sguardo malinconico stampato sul volto, perso in qualcosa che solo lei sapeva.

Quell’espressione mi suscitava compassione, ero tentato di chiederle come stesse, ma la situazione non me lo permetteva, ero sotto la sua finestra a fissarla, roba inquietante, quasi da film horror.

Abbandonai questo pensiero e, se pur a malincuore, proseguì la mia passeggiata con un pensiero fisso, volevo conoscere la ragazza degli archi, prendere un caffè con lei e farle la domanda più banale di questo mondo, come stai? Avevo la sensazione che la risposta non sarebbe stata altrettanto banale...


Senza accorgermene


Tornare dalla mia famiglia mi aveva donato un senso di pace, un senso che avevo dimenticato potessi ancora provare…Se per alcune domande avevo trovato una risposta per altre no, ma è stata proprio la curiosità ad avermi spinto su una nuova strada; mi sentivo diversa, da allora non ho più smesso di creare.

Con questi nuovi occhi potevo affrontare non solo la mia vita ma anche il mondo intero.

Le mattine avevano un sapore diverso, così come il caffe, era più dolce anche se non mettevo mai lo zucchero, il mio riflesso mi sorrideva, il cielo era più blu e le nuvole solo di passaggio.

Vedevo tutta la bellezza delle cose che mi circondavano.

Ho finalmente capito che non troverò da nessuna parte la scritta inizio o puoi partire da qui, perché è una cosa che posso decidere io, è solo una mia scelta e di nessun altro.

Cosa c’era di male ad aver perso dei pezzi per strada? Sapevo di essere ammaccata, ma ero io, fragile e forte nello stesso momento.

Ero entusiasta, completamente persa in tutto questo, mentre ascoltavo Borderline di Tame Impala avevo dimenticato di non essere sola, ma in strada dove ci sono altre persone…Infatti senza accorgermene finii addosso ad un ragazzo: «Oddio scusami, non ti avevo visto» ero mortificata, per cercare di nascondere l’imbarazzo iniziai subito a raccogliere di fretta le cose che mi erano cadute…

«Ehm…Tranquilla…Non è successo nulla. Aspetta, ti aiuto».

Eravamo alla stessa altezza, avrebbe sicuramente visto la mia faccia rossa di vergogna, nella fretta le nostre mani si toccarono, in un istante un lampo illuminò tutto, mi bloccai immediatamente per guardarlo meglio «Ma per caso ci conosciamo?» la domanda mi era uscita senza che la elaborassi, sapevo già la risposta.

«No, non credo…» sembrava confuso.

«Davvero? Allora credo di essermi sbagliata» ero ancora più imbarazzata di prima così di scatto mi alzai per andare via il prima possibile «Grazie e scusami ancora…».

«Comunque io sono Roberto, piacere…» rimase con il braccio sospeso fin quando «Piacere Roberto, sono Miranda» non ho stretto la sua mano. Il mio cuore iniziò ad accelerare per qualche ragione…

Colsi l’occasione per osservare i suoli lineamenti, capelli folti, neri, mossi che si posavano sulla fronte, occhi verdi, vispi e quel naso...E la bocca poi, quelle labbra a forma di arco…Ritorno alla realtà

«Mi dispiace per averti investito…Spero di non averti fatto male…»

«Stai tranquilla, davvero, può succedere a tutti» mi sorrideva mentre mostrava di essere ancora tutto interno…

Trattenni una risata a stento.

«Vieni spesso qui?»

«Ehm…Sì, praticamente sempre, sai passeggiare mi serve per trovare l’ispirazione, i posti, le persone possono dire tanto, ecco perché porto con me questo diario…Devo appuntarmi tutto…» glielo mostro soddisfatta.

«Ah ho capito, una sorta di macchina fotografica?»

«Più o meno, solo che così posso fotografare secondo il mio modo di vedere le cose…Non so se ho reso l’idea…»

«Chiarissima, quindi sei un artista, giusto?»

«Sì…In realtà sto ancora studiando, però nel frattempo creo».

«Che bella la parola creare, in un certo senso quello che facciamo non è così diverso…Anche io creo…Mi piace sopra…» la frase fu interrotta dal suono del suo cellullare, lo prese e «Miranda scusami se vado via così, ma è una chiamata di lavoro, devo scappare, ci vediamo presto»

Non capivo come un incontro del genere potesse suscitare certe sensazioni, ero stranita.

E’ successo tutto così in fretta che dovevo ancora realizzare il tutto, era appena andato via ma io guardavo ancora in quella direzione nella speranza che tornasse indietro.

Questa volta non avevo bisogno di mettere tutto su carta, ma su tela, mia affretta a tornare a casa, questo momento era così vivo in me che non potevo aspettare un secondo di più.

Presi la tela più grande che avevo e mentre ascoltavo Vinyl Williams - Harmony Grass, chiusi gli occhi e potevo vederlo.

Dietro la tela c’era lui che mi sorrideva, era in attesa…

La matita scorreva da sola perché sapeva già tutto…Al massimo della concentrazione lasciavo che le mie emozioni prendessero il sopravvento, i battiti accelerati del mio cuore reclamavano giustizia per tanta magnificenza.

Le stesse emozioni che riempivano i miei occhi le volevo trasmettere sul bianco della tela, speravo di rincontrarlo…O di scontrami…

Le lancette dell’orologio correvano e ormai non facevo più caso alla musica della mia playlist, c’era una musica più bella che mi risuonava in testa… Roberto su tela. Incompleto e malinconico nel medesimo istante. Una sensazione che conoscevo bene mi suggeriva che quel semplice disegno aveva delle cose da raccontare…E forse a me sfuggiva ancora qualcosa, però quando provavo a ricordare la testa iniziava a farmi male. Più insistevo e più il dolore aumentava... Ma io cosa potevo ricordare di una persona vista una volta sola? Assolutamente nulla. E questo dolore? Erano le 2 passate quando mi resi conto che dovevo provare a dormire per qualche ora prima del suono della sveglia, anche se il sonno era parecchio lontano… Così iniziò la mia nottata infernale, io e quei fantasmi che ogni tanto ritornavano a farmi visita nei sogni. Gli occhi non volevano saperne di chiudersi, mi giravo e rigiravo, ero così agitata che iniziai a sudare, non trovavo pace volevo solo uscire prima che fosse troppo tardi da quel maledetto… Di scatto mi sedetti sul letto per tornare in questa realtà, ero sveglia, con la mano cercavo di contenere il cuore, ero spaventata, tremavo, mi guardavo intorno fin quando con la coda dell’occhio, una luce fredda attirò la mia attenzione, provai ad alzarmi, ma barcollavo, così iniziai a cercare un qualche appoggio che mi desse stabilità, fortunatamente le pareti della stanza mi aiutarono parecchio...Mi fermai all’ultimo, ero terrorizzata da cosa potesse mostrarmi lo specchio…Presi fiato e ci saltai davanti e…Lo vedevo…Vedevo il mio riflesso. Stesa su un letto bianco, ero fredda come quella luce, piena di tubicini. Piena di cicatrici, lividi, graffi… Potevo sentire il dolore sotto le dita della mano. Sentivo tutto. Quello che faceva male. Ero brava a farmi male. Sentivo anche la stanchezza, la rassegnazione, la voglia di aprire gli occhi e fare i conti con questa vita. Ma dov’era il senso? Vedevo, sentivo, forte e chiaro. Le urla di disperazione, i pianti infiniti a tutte le ore del giorno e della notte, le preghiere tra le labbra, il calore umano, la speranza e la consapevolezza che le cose non sarebbero mai cambiate. Ma non ero io ad essere così ottimista, ero sicura. Non avevo forze per vedere il bicchiere mezzo pieno, il mio era vuoto e rotto in mille pezzi. Stesa su un letto aspettavo di fare una scelta. Ma cosa stavo aspettando? O chi? Quelle voci che mi supplicavano di ritornare, erano un peso, un peso che non mi lasciava andare trattenendomi lì. Un po’ contro la mia volontà un po’ felice di questo. L’essere umano è così egoista. Lo so bene, perché davanti ad un bivio non sapevo dove andare. Volevo far soffrire o soffrire tutta la vita? A chi volevo accontentare? Perché non mi lasciate andare? Dopo quel…Che senso ha tutto questo? Aspettavo solo che un paio di occhi verdi mi prendessero per mano e, stringendola forte, condurmi verso la strada giusta. Ad un passo l’una dall’altra eravamo comunque lontani. I viaggi ci hanno unito e diviso. Ti aspetto, dopotutto mi devi un altro viaggio.

Erano le 8 quando la sveglia incominciò ad urlare, aprii gli occhi, distesa sul pavimento, vicino allo specchio.

Raccolsi tutte le mie forze per alzarmi, con il viso segnato dalle lacrime ero sotto shock, non sapevo cosa dire o quale domanda pormi, non m'interessava.

Uscii dalla mia camera per andare nella stanza principale, presi lo sgabello e mi sedetti davanti a lui, avevo i brividi.

Più che un monologo volevo parlare a lui, esatto proprio al dipinto che avevo di fronte a me.

Sono parecchio confusa, tu ne sai più di me, vero? Tutto questo non è un caso, giusto?

Qui non si parla di destino o del caso, no, queste cose le lascio ai sognatori, ai romantici, a quelli che hanno ancora fiducia di questa vita, io ho smesso molto tempo fa.

Non credo nemmeno in quello che vedo, o in quello che sento, nelle mie emozioni e sensazioni, ci sono solo le scelte…E le conseguenze di queste. In quelli errori che si fanno una volta e si scontano per tutta una vita, ma una vita non basta per sentirsi in pace con sé stessi.

Sai in cosa credo più di tutto? In questo peso che ho dentro da quando ti ho visto per la prima volta.

Non so come interpretarlo e non penso che nemmeno tu lo sappia.

Risi, nervosamente, abbassai lo sguardo e mi alzai, la giornata poteva iniziare nei migliori dei modi.


Roberto

Così ho conosciuto Miranda.

Quella ragazza dai mille pensieri, sempre con una penna in mano e delle cuffie addosso.

Aveva finalmente un nome, M I R A N D A. Le si addiceva perfettamente.

Miranda dai capelli indefiniti, dagli occhi marroni scuro come un fitto bosco, dalle mani bianche e affusolate, dal viso piccolo e pieno di stelle, dal timido sorriso di chi crede ancora in qualcosa.

Lei era questo e tante altre cose.

Ero convinto che il destino fosse qualcosa creato dai romantici per rendere tutto più magico, ma dovetti ricredermi, da quel giorno diventai uno di loro.

Alla sua domanda ‘’Ma per caso ci conosciamo?’’ Avrei voluto risponderle di sì. Sentivo di conoscerla da tantissimo tempo, ma era tutto così confuso che non avrei saputo dare una spiegazione logica.

La sua voce, quel tono imbarazzato, erano familiari.

Si può conoscere una persona senza averla conosciuta?

Possono ritornare in mente dei ricordi di cui non sapevo nemmeno l’esistenza?

Non so, ma quando sono vicino a quella ragazza tutto diventa poesia.

Come se mi permettesse di vedere con i suoi occhi.

Anche se andarmene è stata dura, dovevo. Per chiarire, per capire.

Anche se non volevo. La pensai tutta la giornata, confidavo nel destino per farci rincontrare il più presto:

Così la sera, anzi di notte per la prima volta la sognai.

La sua felicità rifletteva la mia, avevo la sensazione che mi stesse aspettando…Ma si sa che nei sogni siamo liberi di credere in quello che ci piace di più…

Tutto scorreva sotto i miei occhi come se stessi sfogliando un vecchio album di fotografie, il nostro.

Posti che facevano da sfondo e una Miranda sempre diversa, sempre meravigliosa.

Con la stessa velocità arrivai a quelle pagine bianche, vuote, incomplete…Un dolore straziante iniziò a farsi spazio dentro di me…

«Allora Roberto, sei pronto?»

La fissai senza capire a cosa si riferisse…Poteva vedermi?

«Terra chiama Roberto, pronto ci sei? Tesoro tutto bene?» mi toccò delicatamente il volto con la mano.

«Mh…Sì…» non volevo farla preoccupare quindi l’assecondai.

«Sicuro? Se non ti senti possiamo rimandare, davvero»

«No! Davvero, sto benissimo, devo solo andare un attimo in bagno…»

«Ok, va bene tesoro, io finisco di preparare la valigia»

Da quando i sogni sono così reali, da poter sentire il calore umano? Mi tirai un pizzico, poi due, tre ma ero ancora lì.

«Roberto, sicuro di stare bene? Ti ho visto scioccato e non so, sinceramente mi sto preoccupando»

«Mira tranquilla, va tutto bene»

«La tua faccia er…Va bene…Io sono qui…Prenditi il tempo che ti serve…»

Non credo tu possa aiutarmi. Mi fiondai sotto la doccia e giocai con la temperatura alternando acqua calda e ghiacciata, magari con un forte shock sarei tornato nel mio letto…Niente. Chiudermi in bagno non avrebbe risolto le cose, magari tastando il terreno ci avrei capito qualcosa, così uscii dal bagno e notai che Miranda camminava avanti e indietro per la stanza, con lo sguardo preoccupatissimo. «Allora come stai?»

«Bene»

«Te lo si legge in faccia che non è così…»

«Puoi stare tranquilla»

«E uno di quei momenti di confusione, vero? Lo so, ne sono certa…»

Presi il suo volto tra le mani «Anche nella confusione tu resti certezza» ero sincero.

«Oh Robi…Ti amo»

«Ti amo Mira…Per l’eternità»

Amavo davvero quella ragazza e non avrei mai permesso che soffrisse.

Da quando certi sentimenti mi appartenevano?

«Per il viaggio stavo pensando che potevamo rimandar…»

«No, era da tanto che volevamo andare, prendiamo le valige e partiamo». Tutto mi tornò alla mente, se avessi sognato fino a questo momento?

Ricordo tutte le volte che avevamo rimandato quel viaggio, ma perché? Per una strana sensazione strana che provavo? Non mi sarei fatto condizionare anche questa volta, vedere la delusione sul volto di Miranda, per quanto si sforzasse di nasconderla, mi faceva stare male.

«Che dici, faccio un po’ di caffè?»

«Sì fai pure, nel frattempo vado a mettere queste cose nel van» scendo giù e mi dirigo verso il veicolo, mentre sistemo tutto noto una leggera macchia scura lì vicino, sembra una macchia di olio, lascio perdere e torno a casa, ormai il caffè dev’essere pronto.

«Giusto in tempo Robi, ecco» mi porge il caffe sorridendo.

«Ti ringrazio,. Ah ho notato una macchia di olio nelle vicinanze del van…»

«Mh sarà vecchia, qualche giorno fa sia papà che Gian lo hanno controllato e sembrava tutto apposto…»

«Beh allora dev’essere così, sarà vecchia…Non facciamoci caso»

«Sono davvero contenta di partire…Non sto più nella pelle, ho preparato un veloce itinerario per vedere più cose possibili. Pistoia nasconde delle perle che meritano…»

Vedere i suoi occhi che brillano mi riempiva il cuore «Davvero? Raccontami tutto…»

Quando parlava di cose che le piacevano emanava una luce intensa…Ricordo come si sia sempre occupata di tutte queste cose, ‘’deve essere tutto indimenticabile’’ mi ripeteva…E lo era, più che le foto ci sono stati dei momenti che non dimenticherò mai…Eravamo noi, il van e tanta voglia di vivere una vita piena di avventure…Sembrava di vivere un so…No, basta, questa è la realtà.

«Sai questa notte ho fatto un sogno strano, mi sembrava di vivere la realtà invece…Non lo era…»

«E questo ti ha turbato?»

«Ammetto di aver avuto un momento di forte confusione, ma ora so qual è il mio posto…»

«…Accanto a me Rob…»

La prendo con dolcezza tra le mie braccia prima di lasciarci andare ad un bacio appassionato.

«Sei bellissima piccola…».

Le sue guance iniziano a colorarsi di un rosso sempre più evidente…«…Dovremmo andare ora Rob…»

«Hai ragione Miri, è ora…» diamo un’ultima occhiata alla casa, chiudiamo la porta e mano nella mano scendiamo le scale.

Apro la sua portella e aspetto che entri «Mi ricorda il primo appuntamento…»

«Stavo pensando la stessa cosa…Mi viene sempre in mente…»

«Cavolo, quanto tempo è passato Rob?»

«Beh…Domani sono tre anni…»

«Già…Domani» si era rabbuiata.

«Hey Miri…» mi stringe la mano.

«Vorrei poter bloccare il tempo a questo momento…»

«In viaggio per sempre?»

«Sì»

«Non volevi vedere più posti possibili?»

«Ma io il posto più bello l’ho già trovato…» mi guarda «Resta concentrato sulla strada!»

«Ahaha agli ordini capo»

Ridemmo fino alle lacrime «Vuoi dormire?»

«Macché ti faccio compagnia»

«Sicura?»

Un grande sbadiglio aveva risposto per lei «mi bastano solo 10 minuti Rob»

«Anche 20…».

Silenzio. Era già nel mondo dei sogni, quanto mi sarebbe piaciuto osservarla...

La strada era quasi deserta e tutto procedeva tranquillamente, fin quando una macchina a tutta velocità non sbuca da destra tagliandoci la strana, fiondo il piede sul freno ma non risponde allora sterzo a sinistra finendo sul guardrail…Eravamo in bilico…Mi girai verso Miranda, aveva gli occhi sbarrati, terrorizzata «Miri guardami, respira, non ti agitare…»

«Rob…Ho paura…Che facciamo?»

«Riesci a passare dietro…?»

«Senza di te non mi muovo»

«Prima vai tu poi provo io, fidati…» Ci girammo entrambi per controllare la situazione prima di vedere due grossi fari avvicinarsi sempre di più...Afferrò la mia mano e la strinse...





Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

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