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Nei nostri tramonti

  • Immagine del redattore: Fabiana
    Fabiana
  • 21 ago 2022
  • Tempo di lettura: 48 min

Aggiornamento: 20 ago 2024

Nei nostri tramonti è una raccolta di emozioni, sentimenti, nata ormai qualche vita fa (...). Non mi ero mai soffermata troppo su questo particolare momento della giornata, non riuscivo a percepirne la magia. Ma la vita è davvero lunga per non cambiare visione del mondo che ci circonda.

In un pomeriggio qualsiasi, qualcuno mi indicò un cielo che iniziò a brillare di mille colori. Come in un dipinto di un vecchio artista che, con sapienza, sapeva perfettamente quali colori utilizzare per creare un capolavoro.

In un potere così immenso ci si perde facilmente. Ed è proprio perdendosi che, spesso, le cose diventano più chiare.


L’Amore che fu. Tante, tantissime cose, ma mai abbastanza…

“E di quei tramonti che vedemmo, io te li dedico tutti.” Qui inizia il nostro viaggio, miei cari viaggiatori. Un viaggio che si perde nel suo stesso tempo. Mi auguro di trasmettere, anche solo un po’, di ciò che ho dentro.

Buona lettura, buona visione,

buon viaggio (...)



La prima volta


Inizia a svegliarmi alle prime luci dell'alba, anticipando così la sveglia. Presi un po' di tempo per ammirare la nascita di un nuovo giorno. La natura era davvero magica. Oggi sarebbe iniziata la mia tanto attesa avventura universitaria, in realtà non sapevo cosa aspettarmi e questo mi incuriosiva molto. Finalmente mi alzai per raggiungere la cucina, il mio corpo (e la mia mente) necessitava di carburante. Il profumo del caffè riempiva l'intera cucina, presi la mia amata tazzina color pesca, e me ne versai un dito, bevendolo tutto in un sorso, come si fa con quella medicina che tanto si odia ma che si deve prendere per stare meglio. Non ero una fan accanita di quell’intensa miscela scura, ma in giornate come questa ne avevo davvero bisogno. Ora che riuscivo a muovermi senza sembrare un zombie, dovevo assolutamente mettere qualcosa sotto i denti, il mio stomaco reclamava cibo e come dargli torto. Aprii il frigo e diedi un'occhiata: «magnifico» esclamai a voce bassa, c’era un piccolo bicchiere di vetro con della frutta tagliata e sopra un post-it con scritto: “Mangiami” , sorrisi, scuotendo la testa. La frutta è il mio punto debole e infatti la finii in meno di un minuto era dolce al punto giusto, buonissima.

Mi diressi in bagno e, guardandomi allo specchio, alzai il dito contro il mio riflesso e dissi «tu hai bisogno di una bella doccia ghiacciata», mi posizionai in direzione del getto d'acqua, sembrava stessi praticando il misogi, uscii, indossai l’accappatoio e mi avvolsi i capelli in un asciugamano prima di andare in camera, optai per un jeans scuro, una camicia bordeaux e degli stivaletti neri, mi piacevano molto i colori scuri anche se la mia carnagione sembrava ancora più chiara di quanto non lo fosse già. Diedi uno sguardo fuori alla finestra, il tempo non prometteva niente di buono. Mi affrettai nell’asciugarmi i capelli, il momento più temuto della mattinata, il nostro era un rapporto davvero difficile, infatti li portavo corti e costantemente legati. Controllai l’ora, era meglio iniziare ad avviarsi, presi la giacca dallo schienale della sedia e la indossai camminando, mi misi al collo le mie amatissime cuffie blu giganti. Non le avrei cambiate per nulla al mondo, quello era un regalo davvero speciale fatto da una persona altrettanto speciale.

Presi l’ombrello al volo e uscii di casa, decisi di prendere le scale, un po’ di movimento mattutino mi avrebbe fatto bene. Mentre mi diressi verso la fermata vidi con la coda dell’occhio che il mio bus stava per arrivare, valutai se correre o meno, ma decisi di alzare semplicemente il passo, più avanti c’era una macchina in doppia fila che lo avrebbe rallentato. Finalmente arrivai alla fermata, e dopo pochissimo anche il bus.


Eravamo in tanti a scendere a quella stessa fermata, e, quasi come fosse una processione, ci dirigemmo tutti nella stessa direzione, all'università. Controllando l'ora notai che ero in largo anticipo, 'meglio così' pensai, avevo tutto il tempo per capire dove si sarebbe tenuta la mia prima lezione. Evitando di fare tardi al mio primo giorno. 'Wow, siamo in tantissimi qui'...Sembrava di essere a qualche concerto di un cantate famoso. Mentre mi guardavo intorno, trovavo davvero interessante osservare le persone e cercare di capire qualcosa su di loro...Nel caos più totale c’era chi andava di fretta, chi invece se la prendeva più comoda, passeggiando mentre fumava una sigaretta, chi cercava di orientarsi proprio come me... Ma dovevo prestare la massima attenzione a non farmi trascinare dal flusso...Tutto questo mi ricordava più un percorso ad ostacoli che altro, ma la motivazione non mi mancava e, mentre schivavo più persone possibile partì Flash dei Queen, canzone adatta alla situazione. In realtà avevo creato io quella playlist che avevo deciso di chiamare “Viaggio”, proprio com'era la vita: un viaggio fatto di momenti differenti e ogni singolo momento meritava la propria canzone (...). Una volta conclusa, iniziai a sentire dei lupi in lontananza, eccola, Hush dei Deep Purple, e mentre mi godevo il sound, alzai lo sguardo e lo vidi. Mi fermai di colpo. Tutto intorno a me si fermò. Qualcuno aveva rubato i colori di tutto quello che mi circondava. Eppure lui emanava dei colori così brillanti. Che fosse stato lui la causa di tutto questo grigiume? Impossibile. Possibile, era l’unico. Perché in un martedì dove il cielo prometteva pioggia lui era come il più incantevole e luminoso degli arcobaleni? Il più bello che i miei occhi abbiano mai visto. Le mie orecchie iniziarono a riempirsi dei battiti del mio cuore, e non voleva saperne di fermarsi. Istintivamente misi la mano sul petto per cercare di contenerlo, sorrisi, come se fosse possibile. Un vento leggero, quasi impercettibile, accarezzava quei capelli color grano. Mentre provava a sistemarli il vento si diventava più insistente e dispettoso, sorridendo le sue guance presero un colorito sempre più rosa. Alzò gli occhi al cielo. Divertito. Di riflesso sorrisi anch’io. La musica continuò ad incorniciare quel momento. Non erano semplici occhi, erano molto di più. Era possibile descrivere tale immensità? Quei due fari color speranza, mi facevano desiderare di essere guardata anche per sbaglio, mi bastava un secondo per perdermi...E poi… e poi…

Un momento. Che cosa diavolo stava succedendo? Dovevo andarmene immediatamente. Tutto riprese a scorrere velocemente. Ritornò il caos. Finalmente. Anche io ritornai su questo pianeta. (Di già?) Mancavano solo 7 minuti all’inizio della lezione, ora dovevo correre. Cos’era appena successo? Mentre cercavo di rielaborare il tutto, (che cosa esattamente?) in quel momento scese la pioggia, lasciai che le gocce mi bagnassero le guance, sperando mi levassero di dosso questa irrazionalità indesiderata, prima di entrare in aula. Presi immediatamente posto e mi concentrai sulla lezione, anche se sentivo che sarebbe stato difficile (…).

La prima volta


Così frenetica, così monotona, così grigia, la mattinata aveva acquisito un sapore che non mi era nuovo, ma che mi lasciava indifferente. forse, anche questo martedì era annoiato. La musica riusciva ad addolcire il tutto. Come sempre. In quel momento, in quel dannato momento, lo vidi. Così calma, così diversa, così brillante, improvvisamente, quello divenne il martedì più dolce di sempre.

Quei suoi capelli color grano, che sapevano di un pomeriggio ventoso d’estate. Quei suoi occhi verdi, che mi ricordavano una distesa infinita di fili d’erba, uno di quelli in cui ti perderesti facilmente. E volentieri. Quelle sue guance, che sembravano petali della rosa più bella di un giardino proibito, una di quelle piene di spine, ma che coglieresti senza preoccuparti del dolore.

E mentre la mia memoria cercava di ripercorrere i lineamenti del suo volto, così da non tralasciare nessun particolare, così da cercare di scegliere con cura le parole più dolci di questo pianeta, capii che nessuna avrebbe reso giustizia a qualcuno che viene, chiaramente, dal paradiso.


Parole


Era un venerdì di metà novembre e faceva davvero molto freddo, amavo questo periodo nonostante soffrissi le basse temperature . Gli ultimi mesi erano volati, fin dal primo giorno i professori ci avevano assegnato una montagna di cose da fare, iniziai a studiare fin da subito per evitare di trovarmi con l'acqua alla gola. Senza nemmeno accorgermene la mia vita era università-biblioteca-aula studio-casa, ma questo non era un problema, anzi, avevo scelto una facoltà che mi stimolava parecchio, poi avevo tante occasioni per conoscere gente nuova e per una come me era una cosa buona... In realtà da piccola ero una bambina molto spensierata, allegra come lo sono un po' tutti i bambini di quell'età insomma...Le cose cambiarono totalmente dopo quell'incidente...Col tempo mi chiusi sempre più in me stessa, senza accorgermene creai un muro sempre più alto e spesso... Gli unici a capire la situazione erano mio padre e mio fratello, senza il loro aiuto chissà che fine avrei fatto... Gli ultimi anni delle superiori le cose cambiarono in meglio, conobbi una persona davvero gentile che riusciva ad andare oltre le apparenze, quello fu davvero un bel periodo che custodisco con estremo piacere. Tutti quegl'anni mi insegnarono molte cose, decisi di non farmi più definire da quel trauma passato, volevo concentrarmi sul presente e sulla persona che ero diventata. Aprendomi al mondo anche quest'ultimo avrebbe fatto lo stesso con me. Il prof. M assegnò a tutti un lavoro da fare in gruppo, mi ritrovai a far parte del gruppo D, sin da subito si era creato un clima collaborativo e positivo infatti il tempo trascorso insieme volava. Durante l'ennesimo pomeriggio passato tra ricerche, presentazioni varie, esercitazioni, anche quel venerdì universitario si stava per concludere…'Finalmente' pensai, nelle ultime settimane le ore di sonno era diminuite sempre di più. Stremata, completamente, non vedevo l’ora di tornare a casa, rileggere per l’ennesima volta Les Fleurs du mal del mio carissimo Charles davanti ad una tazza di tisana allo zenzero. Passare le serate a leggere poesie e bere tisane particolari era diventato il mio rito preferito, il tutto accompagnato dal rumore della pioggia, o del mare o altre melodie della natura. Questo placava l'inverno che avevo dentro. Ma proprio mentre fantasticavo su quel ‘pazzo venerdì’ che di lì a poco si sarebbe concretizzato, una voce squillante interruppe i le mie fantasie. «Ragazzi che ne dite se dopo il lavoro andiamo a prenderci qualcosa a quel bar qui vicino?? Tanto ci mancano le ultime cose e ci meritiamo un po’ di svago!» Esordì Allegra (lo era di nome e di fatto, che sole quella ragazza). «Ci sto!» rispose Aurelia. «Idem!» seguirono in coro Folco e Cornelio. Ridemmo tutti. «Volentieri» aggiunsi, sorridendo. Perché no? Ripetei a me stessa. Magari quel venerdì poteva assumere un sapore diverso. Ci rimettendo a lavorare con più foga, così da concludere il prima possibile. Non vedevamo l’ora di goderci la serata.

Il freddo di quella sera era davvero pungente, ogni respiro era come un sorso di granita bevuta troppo velocemente. Iniziammo ad alzare il passo, per cercare di riscaldarci. Fortunatamente il bar era poco lontano. Dopo questa breve ma intensa passeggiata siberiana, arrivammo. Un’ondata di calore ci accolse. Mi piaceva molto questo posto. Non era il classico bar, ma ricordava vagamente un pub; arredamenti abbastanza scuri, ma non troppo, luci soffuse, il tutto accompagnato da musica di altri tempi, la migliore. Ogni volta era un vero piacere tornarci. Mentre ci guardavamo intorno per cercare un posticino ancora libero, mi colpì un déjà-vu. Improvvisamente. Intensamente. Lo vidi. Non era possibile. Non qui. Non ora. I miei pensieri non erano d’accordo. Il mio cuore iniziò a fare i capricci. Mi girai di scatto, dovevo uscire immediatamente. Mentre avevo i pensieri completamente annebbiati, una mano si posò sulla mia spalla destra. Era Allegra. «Hey, sei riuscita a trovare qualcosa?» «No! Credo che sia tutto pieno!» La mia voce era più squillante del solito. Cercai di nascondere il nervosismo dietro un sorriso dispiaciuto. Feci affidamento alle mie mancate doti attoriali. «Tranquilla, troveremo qualcosa!» Disse mentre mi spinse verso di sé per cercare di rassicurami. Di riflesso le sorrisi anch’io. Non potevo lasciar trasparire troppe emozioni. Capii che ormai era tutto inutile. Era anche vero che non potevo scappare come una ladra. Cercai di ragionare lucidamente. Ero bloccata qui. Le uscite di emergenza erano troppo lontane e non credo che avrei potute usarle per un motivo così sciocco. Sono una stupida dissi tra me e me, tanto lui non sapeva nemmeno della mia esistenza. «Ragazzi devo andare un attimo in bagno, torno subito» Dissi al gruppo. «Vai tranquilla, qui ci pensiamo noi!» Rispose Folco sorridendo. Non ero affatto tranquilla, da lui ci si poteva aspettare di tutto. Ma forse mi stavo facendo condizionare troppo da quel fantasma.

Fortunatamente non c’era nessuno in bagno. Entrai nel penultimo, avevo bisogno di un attimo per me stessa. Dovevo riprendermi. Chiusi gli occhi, respirai profondamente. Con la mano sul cuore aspettai che i battiti ritornassero regolari. Ecco. Aprii gli occhi. Tutto come prima, sorrisi mentre scuotevo la testa. Ero un’adulta, non un’adolescente alle prese con la sua prima cotta. Eppure (…). Non si vedeva ancora nessuno. Andai vicino al lavandino, mi lavai le mani il viso. L’acqua fredda era piacevole. Alzai il viso, vidi il riflesso di una ragazza che mi stava fissando. Troppo intensamente. Non sapevo quando fosse arrivata e da quanto tempo fosse lì. Iniziai a guardarla anche io, sempre attraverso lo specchio. «Tutto bene?» Esordì. «Certo. Grazie» Mi voltai per guardarla negli occhi, le sorrisi. Non so cosa fosse, ma il clima si era fatto davvero pesante. Il modo in cui mi fissava, dietro quei grandi occhiali neri, mi annoiava. Sembrava contrariata, mentre cercava di capire qualcosa che mi era sconosciuta. Ricambiò il sorriso. Continuai a far finta di niente. Conoscevo bene quegli sguardi. Mi erano molto familiari. Mi asciugai, e andai via. Tornai dentro. In lontananza i ragazzi mi salutavano con le braccia, soddisfatti di aver trovato un tavolo. Sorrisi. Ero davvero contenta di vederli. Cercai di raggiungere il posto più in fretta possibile. Ma mi scontrai con un tipo. Una piccola scossa mi sorprese. Alzai lo sguardo. Il destino amava prendersi beffa di me. Lo so. Con tantissime persone, dovevo inciampare proprio su di lui. «Scusami non ti avevo visto!» quasi in coro. Ridemmo. Per qualche secondo ci guardammo. Da vicino era davvero alto. Riuscivo a cogliere meglio tutti quei particolari che mi erano sfuggiti in precedenza. «Piacere, sono Cedric!» Disse mentre mi porgeva la mano per presentarsi. «Piacere mio» strinsi la sua mano, con troppa forza. Eccola lì un’altra scossa. Restammo lì. La stanza si era svuotata. Mentre continuammo a stringerci la mano. A guardarci negli occhi. Mentre una dolce Your Song di Elton John partì. Non avevo mai sentito un profumo così. Non sapevo descriverlo, ma mi era chiaro che avesse così tanto da raccontare e che non lo avrei dimenticato facilmente. «Tutto bene ragazzi?!?» Ci girammo di scatto. Quella voce impaziente mi era familiare. Le nostre mani si allontanarono. E tutto ritornò come prima. «Sì, Iri, va benissimo» le rispose. Lei mi guardò sorridendo. Mi porse la mano per presentarsi. «Piacere sono Ires». «Piacere mio Ires, complimenti per il nome» la guardai dritta negli occhi, mentre strinsi la mano. La sua presa era davvero poco convinta. Così come il suo sguardo. Non credo fosse un vero piacere. Anzi. Improvvisamente mi sentii un braccio sulla spalla. «Ciao ragazzi, io sono Allegra. Vi volete unire a noi?» Mentre Cedric stava per rispondere. Ires intervenne. «Ciao, io sono Ires, grazie mille, ma abbiamo già preso posto. Anzi dobbiamo proprio andare. A presto ragazze!» Afferrò Cedric per il braccio e lo portò al tavolo. Lui si staccò dalla sua presa e aggiunse: «Scusate ragazze ma ci stanno aspettando già da un po’, vi ringrazio per l’invito. È stato un vero piacere.» Mi guardò e aggiunse: «Spero di rivederci presto». Annuii. Allegra li salutò con la mano. Si avvicinò al mio orecchio e disse a mezza voce. «Scusami se mi sono intromessa, ma quella Ires non mi convince tanto…» «Tranquilla, hai fatto benissimo» la rassicurai. In realtà mi aveva appena salvata da una situazione imbarazzante. Sono sicura di non stare molto simpatica ad Ires, e forse avevo capito il perché, ma avevo bisogno di altro tempo per esserne sicura. Ci dirigemmo al tavolo. «Allora ragazze tutto bene?» chiese Aurelia. Sia io che Allegra ridemmo mentre alzammo le spalle, mentre prendemmo posto. «Lasciate perdere ragazze, quei due sono sempre così, allora ordiniamo? Ho una fame che non ci vedo!» disse Cornelio con un’espressione di finta sofferenza. Quella frase lasciava spazio alla mi fervida immaginazione. Forse avrei dovuto chiedere spiegazioni, ma non amavo gli spoiler. Il tempo mi avrebbe dato le risposte che cercavo. Dovevo concentrarmi sul menù e sulla serata. Ma i miei pensieri ritornavano a qualche momento prima. La conversazione risuonava nella mia testa. Ripetei le mie battute come se stessi memorizzando un copione. Per un istante lo cercai con lo sguardo, ma, nel frattempo, il posto si era riempito. Rinunciai.

La serata scorreva in fretta. Tra chiacchiere, risate, musica e buon cibo arrivammo all’ora dei saluti.

Abitavamo tutti in zone differenti, quindi ci toccò separarci.

Il freddo era tornato a pungermi le guance. Mi mancava questa sensazione.

A quest’ora della notte la zona non era rassicurante ma fortunatamente la fermata era poco distante. Ero sola. Con i miei pensieri.

Ad un certo punto sentii dei passi dietro di me, sempre più veloci.

Iniziai ad alzare il passo anch’io.

All’improvviso un braccio mi afferrò la spalla, costringendomi a fermarmi.

Mi girai di scatto e…Non ci potevo credere… «Hey, ciao!» Tutta l’ansia si sciolse. Senza accorgermene trattenni il respiro fino all’ultimo. «Ciao a te, ti capita spesso di seguire le persone di notte e farle spaventare a morte?!» gli dissi senza troppi giri di parole. «Ahahah hai ragione, scusami, ma credevo che se ti avessi chiamata da lontana non mi avresti riconosciuto, e forse ti avrei spaventata, ma forse così è stato peggio. Scusami ancora, errore di valutazione» disse abbozzando un sorriso. Vedendo il suo volto dispiaciuto, mi sentii tremendamente in colpa «tranquillo, sono io che mi vedo troppi film e penso sempre al peggio». Rise. Cedric emanava una luce tutta sua. «Torni a casa?» mi domandò. «Sì, sto andando alla fermata» risposi mentre continuai a camminare. «Anche la mia è di qua, ti va di andare insieme?» Lo guardai sorpresa «Volentieri» in quel momento mi pizzicai la mano per vedere se stessi sognando. ‘Ahi’ era tutto reale. «Sai, mi volevo scusare per prima, ma Ires è fatta così, a volte si comporta da sorella apprensiva, siamo cresciuti insieme quindi è un po’ come se fossimo fratello e sorella. Però è una brava ragazza, spero avrai modo di conoscerla» Mi fermai per guardarlo negli occhi «Sei venuto fin qui per scusarti? Non c’era bisogno, non è successo niente di grave, ti ringrazio per la premura». Nonostante questa sua spiegazione il mio istinto o forse il sesto senso, non so bene cosa, mi dicevano tutt’altro. Ma decisi di lasciar perdere. Insomma, è davvero un mio problema? Non credo. «In realtà nì, volevo sì scusarmi ma volevo soprattutto passare del tempo con te. Non so ma mi incuriosisci, credo tu sia una persona da scoprire, con un mondo intero da scoprire» Restai senza parole, non che solitamente ne avessi tante. «E tu sei uno a cui piace avventurarsi verso l’ignoto?» «Certo» sorrise, inclinando la testa. Riprendemmo a camminare. «Allora, quindi sei nuova, non ti ho mai visto da queste parti». «Più o meno, prima vivevo in un’altra zona di Roma, mi sono trasferita già da un paio di anni qui, con la mia famiglia». «Ah ecco, beh Roma è davvero immensa. Come ti trovi?» «Sì lo è. Pensavo peggio, invece mi sono adattata subito, c’è sempre qualcosa da fare, gente interessante da conoscere» lo guardai dritta negli occhi mentre continuai a parlare «il solo fatto di essere sempre impegnata, mi aiuta a non pensare…» appena finì la frase mi morsi le labbra, forse avevo detto un po’ troppo e non lo conoscevo nemmeno così bene. «A volte fa bene non pensare, anche solo per poco. La mente ringrazia». «Vero». Con la coda dell’occhio vedevo come il suo volto si illuminava grazie alle luci intermittenti dei lampioni. La fermata si avvicinava sempre più, i nostri passi rallentarono parecchio, forse, nessuno di tutti e due voleva arrivare. «Io ormai vivo da una vita qui, sono affezionato a questo posto. Sai, un giorno non troppo lontano, mi piacerebbe progettare un palazzo proprio in questa zona. Ecco perché ho preso architettura. Vorrei lasciare una mia firma nel luogo dove sono nato e cresciuto. A volte penso: noi qui siamo solo di passaggio, ma lasciare una testimonianza, anche alle generazioni future, mi renderebbe fiero del mio lavoro». «È davvero un modo interessante di vedere le cose. Spero di passare presto davanti al tuo edificio, Cedric» gli sorrisi sinceramente, ero davvero curiosa. «Non vedo l’ora che accada, spero apprezzerai». Mi fermai di scatto, gli porsi la mano scherzosamente «Allora questa è una promessa!». La strinse, occhi negli occhi, fissi, senza distogliere lo sguardo. Ancora quella scossa, ma le nostre mani non si mossero di un millimetro. Continuai a guardarlo. Nonostante fosse buio, vedevo quel suo verde brillare, due smeraldi nella notte. Non avevo mai visto occhi così, non credevo nemmeno che fosse umanamente possibile avere quel colore. Ma non volevo farmi mille domande, volevo solo guardarli il più possibile, per scolpirli nella mia mente. Nessun suono aveva il coraggio di uscire dalle nostre labbra. Il silenzio aveva preso il sopravvento. In quel momento qualsiasi parola sarebbe stata fuori luogo, totalmente inutile. I miei occhi non volevano staccarsi dai suoi, ero incantata, volevo perdermi. Era tutto quello che desideravo, sin dal primo istante, sin dal primo inconsapevole incontro. Niente mi avrebbe fatto cambiare idea, nemmeno il non sapere se avessi avuto la forza di tornare indietro, anzi, forse proprio questo ‘non sapere’ donava quel senso adrenalinico al tutto.


Tu che nel silenzio riesci ad essere poesia, incessante il mio cuore palpita, mentre mi nutro di ogni tuo singolo particolare, mentre i miei occhi percorrono minuziosamente i tuoi lineamenti, mentre rinuncio alla razionalità, tutto si dissolve, e forse, in un’altra vita, sarai tutto.

Mentre scrivevo qualcosa degno di te. . .

Il silenzio venne interrotto da un suono che si avvicinava sempre di più. Mi ci volle qualche secondo per capire che era la suoneria di un cellullare. Del suo. Squillava senza darci un minuto di tregua. Mentre mi allontanai piano piano, staccai la mano dalla sua «Ti stanno chiamando, dovresti rispondere». Non so se ero più grata o infastidita. Forse entrambe le cose, in maniera poco equa. Annuii. La sua espressione diventò seria, prese in mano il cell, ma i nostri occhi erano ancora fissi. Rispose, senza dire una parola, una voce parlava incessantemente. In sua presenza non riuscivo a pensare lucidamente, dovevo assolutamente trovare una scusa per andarmene. In cuor mio sapevo che quella conversazione non era affatto finita, anzi, era appena iniziata, ma in quel momento volevo solo allontanarmi il più possibile. Ora che anche la magia si era dissolta. Mentre pensavo a cosa dire sentii l’autobus arrivare. Mi voltai per controllare, poi ritornai su di lui. Gli feci segno che dovevo andare. Il bus si fermò, corsi per cercare di prenderlo in tempo, salii finalmente. Lo salutai con la mano. Sembrava incredulo, mentre abbassava quel dannato aggeggio, mi guardò sorpreso. Finalmente arrivai a casa. Chiusi la porta dietro di me, mi appoggiai ad essa, le gambe stavano per cedere, lentamente scivolai fino a sedermi a terra. Quel momento era così vivo nella mia testa che, se avessi chiuso gli occhi, anche solo per mezzo secondo, la sua figura sarebbe apparsa davanti i miei occhi. Cercai di tenerli sbarrati. Non potevo reggere ancora tanto, per quella notte. Come potevo descrivere questa sensazione? Era come se una nebbia mi circondasse, piano piano fino a diventare sempre più fitta, senza accorgermene potevo ritrovarmi chissà dove. Notai che la luce della cucina era accesa, mi alzai per controllare, ma era vuota. Presi un bicchiere d’acqua ghiacciata. Lo passai sulle guance che stavano ancora andando a fuoco. Ora a mente fredda, pensavo e pensavo (...) Cosa stava succedendo? Cosa sarebbe successo se quel telefono non avesse squillato? Mille erano le domande che giravano nella mia testa. Domande che non trovavano pace, non trovavano risposte, o forse, semplicemente, non volevano addentrarsi in un vortice sempre più profondo, (o)scuro… E se… Sentii una porta aprirsi, era mio padre che usciva dallo studio, ci salutammo con un cenno di mano. Non era uno di molte parole. Ma sapeva farsi capire con un solo sguardo. Mi sedetti vicino al tavolo. «Ti stai per preparare del caffè? Posso farlo io, siediti pure» abbozzai un sorriso. Dovevo concentrami su altro. Non volevo più farmi domande. «Ti ringrazio» disse mentre spostò una sedia per sedersi. «Figurati, hai ancora tanto lavoro da fare?» «Credo che ne avrò ancora per qualche ora». «Va bene allora preparo il caffe anche per dopo» mi voltai verso di lui, eccolo. Il suo sguardo. Quello sguardo. Aveva capito qualcosa. Il mio volto è sempre stato come un libro aperto, era facile capire cosa provassi, bastava guardarmi. Da piccola era qualcosa che non sopportavo, ma crescendo imparai ad accettarlo. In questo ero identica a mia madre, e il solo pensiero mi rendeva felice. Il poterle assomigliare almeno un po’ mi bastava per voler restare così. «Buona idea» rispose. La cosa che apprezzavo di mio padre era il fatto che non facesse mai domande, ma aspettava che fossi io ad aver voglia di parlare. Rispettava i miei spazi e i miei silenzi, qualità che ho imparato ad apprezzare molto nel corso del tempo, soprattutto quando mia madre venne a mancare. Ma questa è un’altra storia (…). Come un treno ad alta velocità i miei pensieri correvano. Difficile stargli dietro. Fin quando non mi ritrovai mio padre accanto a me. Spense la moka. «Scusami papà, non avevo sentito» lo guardai amareggiata. Cavolo, ma dove avevo la testa? Al solito, altrove, che domande. Annuì in silenzio. Il suo sguardo era rassicurante. Prima di versarsi il caffè nella tazza andò vicino al frigo, lo aprì per prendere qualcosa. Mise sul tavolo uno di quei cupcake che amo tanto. Pistacchio e cioccolato bianco, con una pioggia di granella e scaglie. Gli sorrisi entusiasta. «Il mio preferito! Grazie papà!». «Prego, ero di passaggio e ho deciso di fermarmi» rispose mentre si versava il caffè «ora torno in studio, buonanotte». «Buonanotte papà». Sapevo che in realtà quella pasticceria era parecchio distante dal suo ufficio, apprezzai doppiamente. Decisi di prepararmi una tisana, aprii la credenza notai con piacere che c’erano tanti gusti nuovi. Optai per una tisana classica alla vaniglia, adoravo come il suo profumo riempiva casa. Andai in camera, mi sedetti sotto la finestra, mentre la pioggia iniziava ascendere… Mi godetti la musica. I profumi. La dolcezza. Ero libera. Questa era la sensazione che amavo di più al mondo. E mentre la pioggia batteva sempre più forte alla finestra i miei occhi cedettero a Morfeo…

Mi ritrovai nel bel mezzo di una distesa di mille colori. Vi era ogni genere di fiore, alcuni mai visti. Sembravano tante pietre preziose messe lì per in incantare. Osservavo: il cielo nero che accoglieva un’immensa luna bianca. Così vicina da poterla quasi toccare. Volevo toccarla. Ma ero immobile. Non potevo muovermi, il corpo ignorava la mia volontà. Era tutto così esageratamente assurdo. Non potevo fare nulla. Solo guardare. Riuscivo a muovere gli occhi. Allora li chiusi, ascoltai la natura. E così, la stessa natura che mi circondava iniziò a sussurrami. Ma nonostante mi sforzassi non riuscivo a comprendere. Era come se parlasse una lingua a me sconosciuta. Qualcosa stava cambiando. Aprii gli occhi per cercare di capire, ero completamente avvolta dalla nebbia. Eppure avevo chiuso gli occhi per qualche istante. Ora non c’era più niente. Né luci né colori. Solo un fitto grigio che aveva sommerso qualsiasi cosa. ll mio istinto mi ordinò di correre. Ora potevo muovermi. Mentre i miei piedi si abituarono alla morbidezza del suolo iniziai a correre. Sempre più forte. Sempre più veloce. Mi voltai per mezzo secondo, la nebbia sembrava chiudersi dietro di me. Potevo solo andare avanti, anche se continuavo a non vedere nulla. Ora stavo scappando. Da cosa? Non volevo scoprirlo.

Arrestai la mia fuga. Davanti a me apparve un’ombra nera. Riuscivo solo a vedere dei lineamenti. Mi sembravano familiari eppure così sconosciuti. Con due luci quasi ipnotiche come occhi, diretti su di me. Come due fari fissi su una nave. Quell’ombra oscura tese il braccio e aprii la mano con cautela, per non spaventarmi. Inclinò la testa verso sinistra. Sembrava quasi di intravedere un sorriso. Attendeva. Mi attendeva. Nel frattempo quell’ombra si fece sempre più grande. Istintivamente indietreggiai, ma inciampai in qualcosa che prima non c’era. Ora mi ritrovavo distesa sul prato. Qual era la scelta migliore da fare? La nebbia o l’ombra? Richiusi gli occhi. In cuor mio speravo di ricevere qualche suggerimento. Sapevo che dovevo scegliere. Quello era il momento giusto per farlo. In entrambi i casi non sapevo a cosa sarei andata incontro. Risi, mentre ero ancora sul quel morbido tappeto naturale. Va bene. Qualsiasi cosa mi fosse successa non m’interessava. E mentre attendevo immobile il mio destino…


Aprii gli occhi. Ero agitata, respiravo affannosamente. Mi guardai intorno completamente confusa. Tirai un sospiro di sollievo, ero in camera mia, mi ero addormentata sul divano. Diedi uno sguardo fuori dalla finestra, era ancora buio pesto e aveva smesso di piovere, presi il telefonino per controllare l’ora, erano le 5 passate. Valutai se tornare a dormire o no, ma ormai il sonno era un lontano ricordo. Fortunatamente ero il mio ‘giorno libero’, niente università. Decisi di prendermi qualche ora per me stessa, dovevo assolutamente staccare la spina. Ma a quest’ora cosa potevo fare? Mentre pensavo, andai in bagno per lavarmi il mio solito viso da zombie mattutino ‘che occhiaie’ pensai mentre mi ritrovavo faccia a faccia con il mio riflesso. Ma ormai ero rassegnata, erano parte del mio essere, inutile tentare di coprirle con il trucco. ‘Posso andare a correre!’ Ma certo, ottima idea, l’aria fresca di quest’ora mi avrebbe fatto bene. Il senso di tranquillità, il silenzio che solo quell’ora precisa potevo trovare. Raccolsi i capelli in un disordinato chignon basso, ‘c’è di peggio’ dissi tra me e me ridendo. Tornai in fretta in camera, presi la tanto amata tuta color glicine (una delle poche cose chiare nel mio armadio) mi vestii, dopo la corsa mi sarei fiondata sotto la doccia. Cuffie, telefonino ed entusiasmo, avevo tutto. Chiusi la porta, scesi le scale a piedi. Finalmente fuori. Una Smells Like Teen Spirit dei Nirvana risuonava a tutto volume nelle cuffie mentre pensavo alla notte scorsa, anche se i ricordi erano vaghi e sempre più confusi. Buio, buio solo buio. Un’ombra in lontananza e ... E poi? Non ci capivo niente. Per svegliarmi in quel modo dovevo aver fatto in incubo; avevo realmente sognato? La sensazione che fosse tutto reale si faceva spazio nella mia mente, mi sembrava di sentire ancora il prato sotto i miei piedi. Aumentai la velocità. Arrivai al parco, senza accorgermene, rallentai fino a fermarmi, ero lì in piedi da sola, chiusi gli occhi, mentre la città stava iniziando a svegliarsi, riuscivo a distinguere il vento tra le foglie e tra i fili d’erba. Questa natura era così diversa, rassicurante, calma. Li riaprii, era tutto esattamente come prima. Eccola qui. L’alba. La nascita di un nuovo giorno. E mentre i raggi iniziarono ad alluminare il paesaggio circostante decisi di dare tregua ai miei pensieri e riprendere la corsa.


Inaspettato


🎶Just a perfect day Drink sangria in the park Then later, when it gets dark We go home…🎶


Mentre la musica partiva, mi lasciavo alle spalle l’ultimo esame della sessione. Un senso di libertà mi colpiva come una ventata di aria fresca, dopo un pomeriggio di agosto. L’adrenalina era ancora in circolo in tutto il mio corpo, ma sarebbe svanita presto… Alzai lo sguardo verso il cielo, le nuvole erano cariche di pioggia, mi chiedevo se oggi finalmente avrebbe sfogato tutta la sua furia. Chissà, forse era la cosiddetta ‘la quiete prima della tempesta’? Mentre la canzone dei Duran Duran continuava a cullare i miei pensieri iniziai a cercare l’ombrello nello zaino. Scese la prima timida goccia. ‘Mi avrà sentito?’ pensai. «Cavolo, non ci posso credere» gridai ad alta voce, avevo scordato l’ombrello sulla scrivania. Diede un’occhiata furtiva intorno a me, per vedere se qualcuno mi avesse sentito, no fortunatamente. Ero sola. Iniziai a correre in direzione della fermata, quando una pioggia sempre più impetuosa iniziò a colpirmi, cercai di ripararmi con le mani, tentativo del tutto inutile… Un’enorme ombrello rosso mi coprì completamente, mi girai di scatto facendo cadere le cuffie sulle spalle. «Hey» disse lui, sorridendo dolcemente. Rimasi senza parole ‘Cosa ci faceva qui?’ mi domandai. Gli sorrisi. «Inaspettato?» mi domandò. «Totalmente… Grazie…» abbassai lo sguardo, le mie guance stavano andando a fuoco. «Di nulla, in realtà ti ho vista da lontano mentre cercavi invano l’ombrello. Mi stavo godendo la scena» rise. «Ah ecco… che imbarazzo…» in quel momento volevo scomparire. «Eri davvero carina» si fece serio. Cercai di restare calma mentre quel complimento risuonava nella testa. Il rumore della pioggia copriva i battiti del mio cuore. Iniziammo a camminare. Ero così vicina a lui che se avessi alzato il braccio avrei potuto accarezzare quella sua chioma color oro... Mi girai piano, senza farmi notare, i miei ricordi non rendevano giustizia al suo viso. Era davvero molto alto, disinvolto, quel suo portamento elegante lo rendevano praticamente perfetto. Non m’interessava di quello che succedeva intorno a noi, c’era solo lui. La nebbia mi avvolse completamente. Un braccio deciso mi prese e mi spinse ancora più vicino. Una bici mi stava quasi per investire. «Mi dispiace, non volevo farti male…» «Scusami tu, avevo la testa altrove…Ti ringrazio!» Eravamo immobili, il suo braccio continuava a stringere la mia vita, non volevo che quel momento finisse. Non volevo che i suoi occhi si staccassero dai miei. Che fosse pioggia, vento, neve, fine del mondo sarei rimasta lì tutto il tempo. Questa sensazione così forte, che nasceva chissà dove dentro me, non riuscivo a comprenderla. Cosa stava succedendo? Perché con lui era tutto così irreale? Era una benedizione o forse una maledizione? Avevo fatto qualcosa in una vita precedente per vivere questo? Il treno della mia mente aveva preso il volo, mentre i suoi occhi brillavano nei miei. «Stai bene?» «Benissimo…» trovai la forza di rispondergli. Inclinò la testa di lato, mentre nasceva un piccolo sorriso sul suo volto. Il braccio che fino a pochi istanti fa faceva vibrare ogni singola cellula del mio corpo, si spostò, con la mano mi sfiorò la guancia portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Quello era il paradiso, senza ombra di dubbio. Forse quella bici mi aveva preso in pieno e senza accorgermene…io… Il mio corpo rispose ai miei pensieri. «Scusami, ero troppo concentrato da non notare che hai freddo, che dici di andare in quel bar dove ci siamo parlati pe la prima volta?». «Volentieri».

Una volta arrivati prendemmo subito posto… … Ci sedemmo, uno di fronte all’altra, mentre Tears For Fears con Everybody wants to rule the world ci accolse. ll cameriere si avvicinò al nostro tavolo «Buon pomeriggio, sapete già cosa prendere?» «Buon pomeriggio, sì, per me un cioccolato al torroncino, la ringrazio». «Salve, per me, invece, al caramello con panna, grazie». «Aggiunga anche a me la panna e dei biscotti per entrambi». Disse educatamente Cedric, senza staccare gli occhi dai miei. «Spero che per te vada bene». «Benissimo, grazie Cedric». Il mio nervosismo era arrivato alle stelle, cercavo di pensare a qualsiasi altra cosa, ma senza successo. «C’è qualcosa che non va?» mi disse. Ecco, ero stata beccata in pieno. Tanto vale essere sinceri. «Il modo in cui mi guardi…» dissi a mezza voce. Era sorpreso, ma divertito. Perfetto. Lui rideva mentre io ero un fascio di nervi. «Scusami, ma vorrei cercare di capirti. Le tue reazioni raccontano molto di te». «Dicono anche che sono nervosa?» ancora una volta parlai senza pensare. «Non solo, dicono tante cose» «Ah wow…» iniziai a guardare fuori le vetrate. «Eppure non sono sicuro al 100%, mi piacerebbe che mi dicessi tu certe cose, sarebbe più interessante» «Ma sarebbe troppo semplice così, e non credo tu sia un tipo a cui piacciono le cose facili…» il mio sguardo tornò dritto su di lui, se voleva giocare mi sarei divertita anch’io. Si avvicinò portandosi una mano sotto il mento. Gli uscì una risatina leggera «Ecco, intendevo proprio questo, che persona interessante…» Le nostre ordinazioni arrivarono. «Ad esempio, quando l’altra volta sei scappata, avrei voluto sapere molto altro su di te». «Si può sempre recuperare». Iniziammo a parlare di tantissime cose, notai come le parole mi uscirono con estrema facilità… Sembrava quasi di conoscerci da una vita… La mia mente cercò di fotografare quel momento. Il tempo grigio gli si rifletteva negli occhi, erano diventati più scuri del normale. Era davvero pallido, tranne le sue guance. Ogni volta che rideva, arrossiva. Con lui ero me stessa. Senza filtri. Piano piano il nervosismo mi abbandonò. Volevo saperne sempre di più su Cedric. Nel frattempo scese la sera, ma la pioggia non ci dava tregua. Troppo velocemente quel momento finì. «Vogliamo andare?» mi svegliò dal quel sogno. «Sì» dissi con poco entusiasmo.

Tornammo a condividere l’ombrello. La pioggia mi piaceva sempre di più. Il silenzio tornò su di noi. Ma non era uno di quei silenzi imbarazzanti, direi più piacevole. Ecco, questa era una cosa che apprezzavo molto di lui, sapere quando parlare e quando tacere. Faceva quello che sentiva, non forzava il momento, semplicemente, lo viveva naturalmente. Una pace mi avvolse come un’ondata di calore. Nella fitta pioggia un rumore si avvicinava a noi. Era il bus, il mio. Ci guardammo nello stesso istante, sapendo che di lì a breve ci saremmo salutati. Mi spostai davanti a lui «Beh allora… ti ringrazio della compagnia. Spero ci siano altre occasioni per incontrarci…». Si limitò a fissarmi, senza dire nulla, esattamente come l’altra volta. Chissà, magari erano i mezzi pubblici a fargli quest’effetto, pensai (…) Presi coraggio e camminai sotto la pioggia, mancavano pochi metri all’entrata… … Quando… Iniziò a correre verso di me, lasciò cadere l’ombrello, afferrò il mio braccio sinistro e mi spinse verso di lui. I metri divennero millimetri. E così noi, non curanti della pioggia, ci ritrovammo uno di fronte all’altra. La sua mano accarezzò la mia guancia. Sussurrò al mio orecchio «Ci saranno tante altre occasioni». Quel momento. Quello fu il momento in cui le nostre labbra si sfiorarono. Lentamente ci baciammo. Toccai i suoi capelli. Tanto morbidi da sembrare nuvole. Il mio viso era avvolto dalle sue mani fredde e affusolate. Mentre mi abituai a quel momento si staccò da me, senza preavviso, mi trafisse con lo sguardo «Avrei voluto farlo già da un po’». Gli sorrisi, la sua fronte contro la mia. Con il pollice percorse la linea delle mie labbra. Appoggiai le mani sulle sue e richiusi gli occhi. Dentro di me avevo ghiaccio e fuoco. Questa volta furono le mie labbra a cercare le sue. Navigammo in quei baci. Curiosi. Desiderati. Mancati. Ritrovati. Fu così, che in una serata di febbraio, piena di ansie, di pioggia, di parole, di silenzi mi persi. Ma non ero sola. Che fosse un bene. Che fosse un male. L'avrei scoperto...

Prima, ma meglio poi.

Non vi era rosa più bella di quella nata dal ghiaccio, non vi era rosa più pericolosa di quella incorniciata da mille spine, che sia paradiso, o inferno, la bramai. Così l’anima, coraggiosa, imprudente, folle, la colse.


Nei nostri tramonti


Ci sono così tante cose che vanno al di fuori dalla mia comprensione. Oramai sono giunta alla conclusione che siamo noi esseri umani ad essere estremamente complicati… Lo ammetto, è una conclusione piuttosto banale e semplicistica, ma è l’unica che riesco a darmi…Complicare, complicarsi la vita è diventato la cosa più normale di questo mondo. Un’azione quotidiana, oserei dire indispensabile nei rapporti con gli altri.

Quella linea che divide ciò che è giusto da ciò che non lo è, in questo mio tempo, è diventata sempre più sottile fino a scomparire completamente. …Una lenta agonia, si faceva spazio nel mio cuore. Dubbi, preoccupazioni, erano i protagonisti delle mie notti. Eppure, ironicamente, nonostante facesse tremendamente male, ero diventata dipendente da questo infinto dolore. Un loop dal quale non riuscivo ad uscire. Dovevo solo rimanere a galla, dopotutto ero diventata un’ottima nuotatrice.


Finalmente domenica! Non amavo particolarmente questo giorno, perché solitamente lo passavo a studiare, ma, fortunatamente avevo dato il massimo in queste settimane, tra studio e i soliti progetti di gruppo e quindi ora, avevo la domenica libera, potevo rilassarmi e passarla in famiglia. Era da una vita che io, papà e mio fratello non trascorrevamo la domenica insieme. Ma oggi era il grande giorno! Un giorno che mi portava indietro nel tempo, quando ci trovavamo tutti insieme, in questo giorno, mia madre che cucinava, papà che cercava di capirci qualcosa di cucina e io e Cà che davamo una mano a modo nostro, assaggiando tutto senza farci beccare. Un’amara nostalgia, con noti dolci e, ormai, lontane. Mi scrollai i pensieri di dosso e iniziai a prepararmi. Le previsioni portavano pioggia, ma il cielo non sembrava fosse d’accordo. Optai per un vestito blu e degli stivali alti marroni. Ero pronta, ma sentivo che mancava qualcosa…Mentre cercavo nella mia scrivania, mi imbattei in un cerchietto dorato, di cui non ricordavo minimamente l’esistenza. Lo indossai, era proprio quello che ci voleva. Uscì e raggiunsi papà e Cà, che mi aspettavano vicino la porta d’ingresso. Passeggiammo per tutto il tempo, tra chiacchere, risate si fece l’ora di pranzo. Decidemmo di andare in un’antica osteria vicino casa. I proprietari erano una coppia di anziani, Eddy e Clara, un posto così familiare dove eravamo cresciuti…Ma che, dopo la scomparsa di mamma, avevamo smesso di andarci. Dopo la calorosa accoglienza, ci accomodammo e iniziammo a sfogliare il menù, sorrisi, c’erano ancora i nostri piatti preferiti. Mentre leggevo, sentii delle risate provenire dall’altra parte della sala. Risate talmente forti che iniziai a ridere anch’io, sotto i baffi. Iniziai ad incuriosirmi, posai il menù per dare un’occhiata, quando mi venne un colpo al cuore. Smisi di sorridere immediatamente, m’incupii. Mio padre se ne accorse, «Tutto bene?» disse fissandomi aggrottando la fronte. «Certo, certo, mi sono solo ricordata di un impegno per l’università» risposi. Dissi la prima cosa che mi venne in mente, ma come scusa fu poco credibile. Ripresi a sfogliare il menù. Ma l’unica cosa che stavo pensando era a quel tavolo. Di come fosse piccolo il mondo. Di come il destino aveva deciso di rispondere alle mie domande…Buttandomi in faccia la realtà dei fatti, o meglio, confermando quello che sapevo già da tempo. Vederlo lì, sorridere insieme agli amici di sempre, così sereno e spensierato provocava in me emozioni discordanti. Da una parte ero contenta di sapere che lui stesse bene, dall’altra però…non lo so spiegare…mi sentivo ferita, delusa… Non era chiaro quale parte prevalesse rispetto all’altra. Mentre il dispiacere cresceva sempre di più dentro di me, mio fratello iniziò a parlare di tutto il tempo trascorso in questo posto e, mentre ripercorremmo la strada dei ricordi, finimmo col sorridere tutti e tre. Tanto fu intenso quel momento he, ormai, il resto fungeva da sottofondo… Decidemmo di ordinare, nell’attesa mio padre andò in bagno. Ora Cedric era proprio di fronte a me, provai a non guardarlo, ma con la coda dell’occhio vidi che mi fissava in maniera seria. Feci finta di nulla e iniziai a conversare con Cà. Papà tornò e arrivarono anche i piatti, il momento dell’assaggio fu un’esplosione di felicità per le mie pupille gustative. I sapori erano gli stessi di quando ero piccola. Il tempo volò, finimmo il pranzo e, dopo aver salutato i proprietari, uscimmo dall’osteria. Il mio cellullare iniziò a vibrare, lo ignorai. «Il cielo non promette nulla di buono, sarebbe meglio incamminarci verso casa.» disse papà. Il cielo faceva davvero paura. Scavai nella borsa per cercare l’ombrello, quando sentii pronunciare il mio nome. Voce sicura e profonda, la riconobbi subito. Cedric. Lasciai perdere. Continuai a camminare e a rovistare nella borsa…Trovato! «Aspetta!» disse gridando. Non volevo che mi rovinasse anche questo giorno. «Ti prego, fermati e ascolta quello che ho da dire…» La sua voce stava iniziando ad attirare l’attenzione dei passanti. Mi fermai, ma senza voltarmi. «Ti ringrazio, scusami per tutto quanto, ma non è come pensi…» la sua voce si fece più sottile. Mi voltai lentamente, lo vidi, pochi metri ci separavano eppure sembravano chilometri. «Non c’è bisogno di darmi altre spiegazioni. I tuoi silenzi sono stati chiari». Risposi con la massima calma, gli sorrisi e andai via. Aprii l’ombrello mentre la pioggia iniziò a scendere piano piano. Raggiunsi papà e Cà. Non avevano notato nulla, stavano parlando di lavoro quindi non avrebbero sentito nemmeno un meteorite a distanza ravvicinata. Il cuore mi batteva all’impazzata. La cosa migliore era allontanarmi il più possibile da lui, dalla tentazione di corrergli incontro e stringerlo forte, di rassicurarlo e dirgli che insieme avremmo superato qualsiasi cosa. Ma a quanto pare, la voglia di tornare da lui, con lui, era un qualcosa che faceva ancora più male rispetto alla lontananza. Per tutti questi mesi, in cui ero sospesa in un profondo limbo, avevo accumulato solo angosce, ansie e fiumi di lacrime. Dall’oggi al domani non mi era dovuto sapere più niente di lui. Era un vero e proprio mago a far perdere le tracce. Chiamate senza risposta, messaggi a vuoto. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Ma quando mai, tutte cavolate, più non lo vedevo e più mi mancava. Il mio cuore, lo reclamava per tutto il tempo. Mi trovavo lì, sola, ad affrontare le mie paure più grandi, paure che mi divoravano secondo dopo secondo. Iniziai a scrivere su dei fogli tutto quello che non potevo dirgli, cercavo di mettere nero su bianco le mie emozioni, i miei sentimenti… Qualsiasi cosa mi passasse per la testa. La pila di fogli cresceva ma lui non tornava. Lui non è mai tornato veramente, nonostante facessimo sempre finta di nulla. Lui era irraggiungibile, ma questo non lo capivo ancora. Mi bastava un suo abbraccio per arrendermi a quel destino crudele che mi ero scelta da sola. Il silenzio, tra di noi, era una costante crescente. Così era, così andava bene a lui e, di conseguenza, andava bene anche a me. L’amore è come una fitta nebbia, in un cui ti ritrovi senza capire come e perché, dove è difficile vedere come sono realmente le cose, eppure, io che amavo il sole, io che ho sempre ambito alla luce, alla felicità, mi ritrovai ad amarla. Non era un problema per me perdermi e non trovare la via del ritorno, perché sapevo che, prima o poi, da questa nebbia, sarebbe apparso lui. Ma oggi, avevo scelto me. Volevo essere libera da queste catene invisibili che mi tenevano imprigionata a lui.

Non avrei mai immaginato che questa scelta mi sarebbe costata cara…



E anche questa domenica si era conclusa, ero davvero sfinita. Salutai tutti e andai in camera mia, una bella dormita mi avrebbe aiutata a non pensare ad altro…Mentre la pioggia mi faceva compagnia chiusi gli occhi… Dolci note mi svegliarono. Aprii gli occhi. Ero sdraiata su un divano di velluto nero impreziosito dall’oro. Circondata dalle tenebre, al centro dell’enorme stanza, la luna, al massimo del suo splendore, m’illuminava dandomi la possibilità di guardarmi. Indossavo un vestito morbido tutto in pizzo chantilly, mentre un velo trasparente mi copriva le braccia. Posai i miei piedi scalzi su quella che sembrava scacchiera di marmo a grandezza d’uomo. Alzai il vestito per cercare di non inciampare. Uscii dalla stanza, volevo capire da dove provenisse questa melodia. Dinnanzi a tanta maestosità mi sentivo così piccola. Così estranea. Ero sempre più vicino. Entrai in quella che sembrava una sala da ballo. Lampadari di cristallo scendevano da questi soffitti alti, pieni di affreschi che rievocavano tempi ormai dimenticati. Sembrava di essere in una fiaba. Nel mezzo della sala incantata qualcuno mi stava aspettando. Tale figura avrebbe dovuto inquietarmi non poco, visto che i raggi lunari rifiutavano d’ illuminare. Totalmente rapita, mi avvicinai con fare deciso a questa spettrale figura. Mi porse la mano, la presi e iniziammo a ballare. La musica suonava per noi. Ballammo per tutto il tempo, mi lasciai guidare da tanta sapienza e delicatezza. Noi, senza pronunciar parola alcuna, ci trovammo a comunicare danzando. Ma, ahimè, le cose belle finiscono sempre troppo presto. Mi porse una rosa bianca, la presi e mi punsi. Sussultai, mentre vedevo nascere una gocciolina rossa dal mio dito una voce calda e profonda mi soprese. «Anche le cose più belle fanno male» mi disse guardandomi negli occhi, credo. Quando, tutto d’un tratto…

…un suono infernale e incessante mi portò alla realtà…

Driiin driiin

La sveglia urlava a gran voce, allora, ancora mezza addormentata alzai il braccio per cercare di spegnerla, quando con la mano toccai qualcosa di soffice, non capivo cosa fosse, alzai la testa per vedere meglio e…lì sul comodino, c’era una rosa bianca…

Non capivo, com’era possibile ciò? La presi tra le mani per vedere se fosse reale…Lo era. Piena di petali e di spine. Delicatamente la studiai, non volevo pungermi ancora una volta…Un momento…Ho forse detto ’ancora una volta?’ Controllai le mani, vidi un microscopico puntino rosso sull’indice… Mentre cercavo di capirci qualcosa il mio sguardo finì sull’orologio, ‘cavolo sono in mega ritardo!’ dissi gridando. Mi preparai di tutta fretta, saltai la colazione e scesi le scale. Presi il pullman giusto in tempo. Ora potevo rilassarmi e analizzare la situazione… cos’ era successo la scorsa notte? Ricordo vagamente di aver fatto uno strano sogno…Cercai di mettere assieme i pezzi…Era tutto così sinistro, misterioso, cupo…E…Poi c’era lei…Quella…Rosa…Bianca… E se in realtà, vedendo la rosa sul comodino, ho solo creduto di averla sognata? Eppure a me sembrava molto di più di un sogno…Solo al pensiero… Volevo saperne di più, ma in quel momento non ricordavo nient’altro. Cosa potevo fare, se non aspettare che questa fitta nebbia si dileguasse, dalla mia mente, dai miei ricordi… Ma il tempo e la pazienza non mi mancavano.


Una vita di déjà vu


Una volta scesa dal bus, corsi per raggiungere l’aula dove di lì a breve sarebbe iniziata la lezione. Ero talmente sovrappensiero che quasi non mi accorsi di aver urtato una persona fin quando, una voce che conoscevo molto bene, non mi disse «Ti sei fatta male?». 🎶Put your head on my shoulder Hold me in your arms, baby…🎶 Mentre, a mio malgrado, mi toglievo le cuffie, lasciando che Paul Anka continuasse ad allietarmi con Put Your Head On My Shoulder, mi voltai e…Ma seriamente? Mi sembrava di aver già vissuto la stessa situazione, tra tutte le persone con cui potevo scontrarmi proprio lui. Avevo un nodo allo stomaco. «No, tranquillo, spero di non averti fatto male...Ora scusami, ma devo assolutamente andare a lezione…Sono già in ritardo…A presto!» ‘A presto’??? Ma cosa mi dice la testa…O forse era il cuore a parlare… Non gli diedi nemmeno il tempo di proseguire, mi allontanai di corsa, senza investire altre persone. Possibilmente.

A lezioni concluse presi il cellullare per controllare i messaggi «Come stai? Ti va di mangiare un boccone insieme?». Ma ormai erano passate ore da quel messaggio, sicuramente avrà già mangiato. Presi la mia roba e uscii dall’aula. Lui era seduto sulle scale, si alzò non appena mi vide, Gli andai incontro a passo deciso. «Hey Cedric, prima non ti potevo rispondere, stavo facendo una presentazione… Hai già mangiato?». «Hey ciao…Tranquilla, in realtà no, ti stavo aspettando, ti va di camminare insieme?» disse dolcemente. «Va bene» risposi. In realtà in quel momento non avevo fame per niente, la mia pancia era piena di farfalle o qualcosa del genere (…). Cavolo, non credevo che il solo stare vicino a lui potesse fare così male. Mi ritornavano in mente tutti i momenti vissuti insieme, come se stessi vedendo un filmato di vecchi ricordi a velocità aumentata. Ma non potevo continuare a scappare da questa situazione… Da lui…La cosa migliore era mettere un punto a questa storia: se volevo realmente salvare quel poco che rimaneva di me stessa. Iniziammo a camminare, Cedric era poco più avanti di me, cercai di non far trapelare nessuna emozione. Mi parlò per primo «Allora come stai?» «Bene, tu?» gli risposi piano. «Bene». Rispose seccamente. Chi aveva più paura, tra noi due, di saltare il baratro dell’addio? «A volte spendiamo così tanto tempo per cercare le parole giuste per renderci conto che, in certe occasioni, non esistono…». Sembrava come se stesse ragionando, a voce troppo alta, con sé stesso. Continuò dicendo: «Lo so che chiedere scusa, ormai, potrebbe risultare del tutto inutile. Ma non per me. Ti chiedo scusa con tutto me stesso, perché non ho saputo proteggerti come avrei dovuto. Di tutte quelle promesse fatte non sono stato in grado di rispettarne nemmeno una…». Il gelo calò improvvisamente. «Le scuse non sono inutili, mai, se fatte con il cuore. Non ho mai capito cosa ti passasse per la testa, ma credo che in primis avresti dovuto proteggere te stesso da tutto quello che ti rende così triste. Sai, anche se non lo dici apertamente, il tuo sguardo parla per te e lo fa ad alta voce, quasi gridando. E sono proprio i silenzi, che alla lunga, hanno costruito un muro tra di noi…Il resto…Beh…Lo sappiamo entrambi…» «‘Proteggere me stesso’? Da cosa con esattezza? Cosa direbbe il mio sguardo?» mi disse quasi incredulo. «Questo non lo so, non so nulla di te Cedric, entrambi non abbiamo mai avuto modo di conoscerci meglio, non fraintendermi, a me non piace vederti così. Se tu mi spiegassi…Magari io…». Non finì nemmeno di parlare che mi interruppe bruscamente: «Tu cosa?!? Credi forse di risolvere tutto solo perché lo vuoi? O forse per te è tutto semplice? Tu non sai niente di niente né di me né di quello che passo ogni santissimo giorno…». Cercai di mantenere la calma. Respirai profondamente, se mi fossi arrabbiata anch’io non avremmo risolto niente. Provai un’altra strada… «Non era quello che intendevo, voglio solo vederti felice e sereno. Tutto qui. Mi dispiace se sono sembrata indiscreta». Testa e cuore iniziarono a litigare pesantemente, ma riuscii a trattenere ogni impulso. «No, scusami tu. Non volevo essere così brusco. La cosa che non mi perdono è di averti causato così tanto male…Volevo tenerti lontano dai tutti i nostri...I miei casini. Alla fine ti ho completamente escluso dalla mia vita...» Quella semplice parola, ‘nostri’, aveva risvegliato in me vecchi dubbi, cercai di collegare tutti i punti… Possibile che si riferisse ai suoi tanto cari amici? Si era corretto all’ultimo sì, ma solo perché non voleva che facessi altre domande. Ma ormai era troppo tardi. Ho sempre creduto che tutte le volte in cui Cedric spariva per settimane i suoi amici centrassero qualcosa… Ora che ci penso meglio, durante una delle mie corse mattutine li avevo visti mentre fumavano quella che sicuramente non era una sigaretta, al solo pensiero mi tornava in mente quell’odore nauseabondo. Mentre un’altra volta, nei pressi dell’università, ricordo Ires in atteggiamenti strani con uno del gruppo, come se stesse dando qualcosa senza farsi vedere, quel gesto era abbastanza sospetto, ma mentre la mia curiosità cresceva, Cedric venne quasi di corsa verso di me e mi abbracciò, distraendomi da quel momento. Che l’avesse fatto per evitare che ficcassi il naso ulteriormente? Probabile, lui era molto legato a loro, forse anche troppo(…). La cosa finì nel dimenticatoio.

Ma se solo avessi approfondito un po’ di più, forse avrei potuto fare qualcosa...

Non era la giusta soluzione quella di spiattellare tutti i miei sospetti, non avevo nemmeno un briciolo di prove, era tutto campato in aria… L’ultima cosa che volevo era spingerlo ancora di più nelle loro grinfie. Dovevo far in modo che si aprisse con me, il più possibile e, una volta venuta fuori tutta la verità, avrei potuto agire di conseguenza. Lasciai correre, feci finta di nulla: «Mio caro Cedric, quando e se mai vorrai potrai parlarmi di qualsiasi cosa ti passi per la testa. In qualsiasi momento io ci sono». Abbozzai un sorriso. Nessuno dei due disse più una parola, ci limitammo a guardarci finché non si avvicinò sempre di più per stringermi a sé. Finalmente, dopo aver camminato a lungo in mezzo la tempesta, tornai a casa. Mi mancava il suo calore e il suo inconfondibile profumo. E, vicino al mio orecchio, pronunciò sottovoce il mio nome per intero, la sua era una voce calda che ricordava un viaggio nel deserto che rifaresti volentieri solo per sentire ancora quella forte emozione. Il mio cuore perse un battito, ero al settimo cielo o forse al tredicesimo, ormai avevo perso il conto, i miei occhi iniziarono a riempirsi di acqua salata, provai a guardare in alto per evitare di piangere come una scema innamorata. Quello fu solo l’inizio…

E proprio in quel momento che lui mi indicò il cielo: «Guarda un po’». Mi voltai cercando ancora di trattenere le lacrime, improvvisamente lo vidi. Definirlo cielo, non era giusto, era molto di più… Quello era certamente un dipinto, in cui il pittore, con grande esperienza, prese i suoi colori più belli e li lanciò sulla tela, con estrema sapienza, perché già sapeva che alla fine sarebbe uscito un capolavoro.

Non potetti più trattenere le emozioni, le lacrime segnarono il mio volto, incessantemente, senza darmi tregua…Mi arresi a tale immensità. Tutto questo era davvero molto strano, ho sempre amato i cieli grigi, i nuvoloni minacciosi e la forte pioggia, eppure, dinanzi a questo tramonto avevo perso la capacità di parlare. Sospirai. Iniziai ad apprezzare tutti quei colori così luminosi tanto da desiderare che quel momento avesse vita eterna. Tutto questo fa riflettere. Anche nei momenti peggiori, come un addio, il cielo è lì per te, pronto a donarti tutto ciò che c'è di più bello. I momenti più belli, spesso, sono brevi proprio come lo è un tramonto, sta a noi imparare ad assaporare ogni istante, senza dare nulla per scontato e, custodire quegli attimi per l’eternità. Mi girai verso di lui, anche lui venne rapito dall'attimo, tra me e me pensai ‘forse c’è qualcosa di ancora più bello’.


Fu solo la quiete prima della tempesta, che avrebbe spazzato via tutto.


La chiamata


La sabbia scorreva all’interno della clepsamia e io, senza batter ciglio mi limitavo ad osservare. Così, incessante. Fin quando mi accorsi che i granelli non erano infiniti… Mi alzai, voltai le spalle e uscii da quel loop infernale.

Cercavo il tramonto, o meglio, quelle emozioni che solo lui riusciva a donarmi senza pretendere la mia anima in cambio.

Così, inerme, sopravvivevo.

Silenzioso il display del mio cellullare, inaspettatamente, s’illuminò. Lo presi con tutta la lentezza di questo mondo e risposi: «Pronto?» «Ciao! Sono Allegra, come stai?!» Il suo entusiasmo mi sfiorava appena, ma non potevo lasciar trasparire il mio umore in quel frangente, volevo evitare l’ennesimo settimo grado. «Hey Ally ciao! Scusami, ma stavo studiando e ho risposto senza guardare chi fosse. Sto bene, ti ringrazio. Che si dice?» «La mia studiosa prefe! Ma ora che le lezioni sono finalmente finite e che la sessione e ancora lontana possiamo svagarci un po’! A proposito di divertimento… Ci sarebbe una festa nei pressi dell’uni questo sabato, che dici di andarci tutti assieme? Sarebbe bello trascorrere una serata senza pensare a nulla!?» Ally adorava organizzare uscite e serate varie, coinvolgere tutti nei suoi piani, Il divertimento era assicurato. Tempismo perfetto, era proprio quello che ci voleva, una distrazione. Ci sto. «Mi devi dire solo l’ora, il posto e ci vediamo!» «Aaa che bello! Allora ci vediamo alle 22 vicino il bar dell’uni, facciamo il pre serata e poi andiamo lì. Saremo tutto il gruppo!» non potevo vederla, ma credo avesse un sorriso a 32 denti. «Va bene Ally, a sabato allora…» mentre stavo per riattaccare aggiunse all’ultimo: «Aspetta! Ho sentito che ci sarà un certo gruppo, con un certo ragazzo…Come si chiamava?! C..Ce..Cedric! Non so se l’informazione ti potrebbe essere utile…» disse tutto d’un fiato. «Ah, ok, capito…Grazie per la dritta…Ma davvero io…» le parole mi sfuggivano dalla bocca. «Lo so, lo so, già l’ho sentita questa…Non toccherò quel discorso ma…Mi raccomando a te, ragazza mia! Sappi che sei circondata da persone che ci tengono a te e che non si stancheranno mai di ascoltarti! Me compresa, ovviamente. Ti voglio bene amica mia, ora riaggancio, davvero! A prestissimo!» «Ti voglio bene Ally! Ci si vede» riaggancio e ritorno nella mia comfort zone. Potevo finalmente lasciarmi andare ai The Moody Blues con Nights in white satin… 🎶Nights in white satin Never reaching the end Letters I've written Never meaning to send…🎶


Arrivai alle 22.00 in punto. Ero la prima del gruppo, mi toccava aspettare. Fuori non c’era quasi nessuno, ‘forse stanno tutti dentro’ pensai. Mentre mandavo un messaggio ad Ally per avvisarla, mi sentivo osservata. Mi guardai intorno ma, le poche persone presenti stavano pensando ai fatti loro…’Boh, forse mi starò fissando’…Eppure avevo i brividi… «Stiamo arrivandooo» mi scrisse. Era una piacevole serata, il cielo blu, privo di nuvole, era tempestato da stelle che brillavano ad intermittenza, il tutto condito con un’arietta che rinfrescava l’aria. Erano giorni davvero molto caldi. «Hey ragazza!» Riconobbi le voci dei gemelli, Cornelio e Folco, le anime del gruppo che, anche se si trovavano spesso a parlare in coro, erano completamente diversi. «Ragazzi ciao! Da quanto! Come state?» dissi mentre andavo verso di loro. «Bene dai» disse Cornelio. «Si tira avanti eheheh» rispose Folco. «Tu piuttosto, ragazza non ci devi dire nulla!?» «Come sta il tuo cuore?» Ogni tanto ci piaceva fare qualche siparietto tragicomico. «Aaah! Il mio povero cuore, continua a battere imperterrito!» risposi mentre mi portavo una mano sulla fronte e l’altra sul cuore, con fare teatrale. Ridemmo tutti e tre. «E’ forse questo il gruppo d…?» in lontananza una voce squillante catturò la nostra attenzione, ci girammo. «…Al completo!» Ally concluse la frase. Conclusi i saluti, chiacchierammo per un tempo indefinito, in fondo, era da una vita che non ci vedevamo…Ci stava… Tra una parola e l’altra pensavo a quanto fossi fortunata ad aver incontrato delle così belle persone. L’amicizia è uno di quei doni che ti fa la vita, di cui bisognerebbe aver cura. La serata era iniziata ancora prima di entrare al bar (…) Dopo un’oretta abbandonate decidemmo di entrare nel bar, però prima di varcare la porta principale, la sensazione di essere osservata catturò nuovamente la mia attenzione così decisi di girarmi di scatto per controllare ancora la situazione…Ma non c’era nulla. Assolutamente nulla. Le sensazioni sono più reali di quanto sembra.


Wow. Il locale era pieno zeppo di ragazzi, la maggior parte erano facce già viste all’università; bisognava farsi strada per muoversi, sembrava di essere in mezzo ad una fitta giungla…Ma passo dopo passo, finalmente arrivammo al bancone. Ally conosceva il barman, fece un segno con la mano e dopo pochissimo ci servì da bere. «Facciamo brindare i bicchieri a questa serata, ma soprattutto alle belle persone che riempiono la nostra vita!» esordì Ally ad alta voce per farsi sentire. «Alla salute gruppo d!» rispondemmo tutti in coro, prima di bere. Una volta concluso il nostro giro ci addentrammo nuovamente nella mischia per muoverci un po’. Iniziammo a ballare sulle note dei Dead Or Alive con You spin me round. Con un sound ritmato che ti spingeva al centro pista per scatenarti. «Adoro questa canzone» disse contenta Aurelia «A chi lo dici!» risposi con lo stesso livello di felicità. Mi mancava questa sensazione di leggerezza. Queste erano quel tipo di serate dove i pensieri e preoccupazioni svanivano completamente, l’unica cosa importante era godersi il momento. Stop. Ogni tanto chiudevo gli occhi per gustarmi di più la musica e, mentre li aprii ancora una volta vidi Cedric di fronte a me, lontano, mentre mi fissava con uno sguardo che non riuscivo a decifrare. Richiusi gli occhi e tornai a farmi trasportare dalla musica. Ci divertimmo ancora un bel po’, fin quando non decidemmo di Se quello era pieno questo lo era il doppio, ma lo spazio non mancava. «Ragazzi cerchiamo di non dividerci! Qui c’è il delirio» propose Ally con tono serio. «Dobbiamo stare vicini vicini» rise Folco. Ally diede una leggera spinta a Folco mentre gli sorrideva. L’atmosfera la discoteca ti assaliva non appena mettevi pieno lì dentro, luci intermittenti che andavano ovunque (anche negli occhi), musica remixata di ogni genere. Decidemmo di dare un’occhiata in giro, noi ragazze ci tenevamo per mano e i ragazzi erano subito dietro di noi, per vedere se c’era un posticino per noi, ma i divani neri in pelle erano tutti occupati. Tutto d’un tratto il dj mise ‘Tonto, jump on it, jump on it, jump on it…’ in versione remixata. «Nooo ragà dobbiamo assolutamente ballare questa canzone!!» quando sono in giro e sento le canzoni che mi piacciono mi gaso un botto. Trascinai tutti in pista e iniziai a ballare, riprendendo i passi del ballo di Willy e Carlton di Willy il principe di Bel Air. Aaa Quanto era bella quella serie! Ci scatenammo talmente tanto che la mia fronte iniziò a sudare, mentre mi asciugavo con il palmo della mano sentii chiamare il mio nome, più volte, mentre una mano si appoggiò sulla mia spalla destra. I brividi lungo il mio corpo mi stavano avvisando… Ma erano tutti impegnati a ballare. Diedi la colpa all’alcool, evidentemente non lo reggevo per niente. Una Bay city di Junko Yagami prese il sopravvento sui miei dubbi e ritornai a ballare. Le note della canzone mi trascinavano verso luoghi lontani (...). Viaggi infiniti ma, oramai, finiti, a rincorrere qualcosa che riesca ancora ad emozionarci. Viaggi su mezzi a due ruote, avere una scusa per starti vicino. Sfuggenti, nel caos della città, c’eravamo noi ed un cielo brillante e positivo. Più insistente, quella voce voleva la mia attenzione…Un lamento, una richiesta di aiuto… In me nasceva l’ansia mentre il cuore partiva come un treno senza freni. Dovevo uscire il prima possibile da quel caos prima che questa cosa mi faccia impazzire. «Ragazzi scusatemi, ma mi devo allontanare un po’ e prendere una boccata d’aria…» «Come ti senti? Veniamo con te!» il viso di Ally era diventato serissimo. Gli altri annuirono. «State tranquilli, sto bene, ho bisogno solo di riprendermi per qualche minuto, Torno subito» Li tranquillizzai, non volevo rovinargli la serata con le mie cavolate… «Ragazza, fai attenzione, ci avviciniamo di più all’entrata così, appena rientri, ci vediamo subito.» disse Cornelio. «Vi ringrazio ragazzi, allora ci vediamo dopo» Sorrisi a tutti e mi allontanai dal tutto quel trambusto. Una volta fuori, riempii i miei polmoni di tutta quell’aria fresca. Iniziai a camminare mentre la musica si faceva sempre più lontana. Il silenzio mi avvolse. La differenza di temperatura era un dettaglio che avevo abbondantemente trascurato. Lasciare la giacca sulla sedia della mia scrivania non era stata una decisione intelligente. Decisi di passeggiare, rimanendo sempre nei dintorni. La strada era quasi deserta e il tutto era davvero troppo sinistro per i miei gusti. Presi il cellullare dalla borsa ‘2 chiamate perse da 34********’. Era il numero di Cedric che avevo cancellato. Si sentiva della musica alla radio e delle voci confuse. «Pronto Cedric, che succede?» «Come stai? Non ti volevo disturbare. Scusami, ti ho visto così felice e non volevo rovinare il momento…» «Cedric, si sente male…Sei alla festa?» «Non più, sono andato via insieme ai ragazzi…» «Ma hai bevuto? Non dirmi che stai guidando tu!» ero preoccupatissima. «Credo di aver bevuto parecchio…Ma non sto guidando io…Volevo stare con te…Volevo davvero trascorrere questa serata solo con te…Mi manchi tantissimo…Cazzo…Sono una frana in queste cose…Ascolta Magnificent degli U2… Te la dedico…» Frena frena…’ La chiamata si interrompe bruscamente. «Cedric, Cedric! Sei ancora in linea?!» urlavo ad un telefono che ormai non dava più segnali di vita. Cedric


La vidi fuori dal locale, in tutto il suo splendore. Una parte di me voleva andare da lei ma con che faccia mi sarei presentato? Era una vita che non parlavamo più. Improvvisamente si girò e io mi nascosi giusto in tempo. Cavolo, mi stavo comportando da vero e proprio stalker. Non potevo far altro che guardarla da lontano, almeno così non avrei causato altri problemi. Ad un certo punto entrò insieme ai suoi amici, aspettai ed entrai poco dopo. Quanta gente…La vidi giusto in tempo…Decisi di avvicinarmi anch’io al bancone, ero quasi di fronte a loro ma di spalle. Iniziai a bere brindando silenziosamente assieme a lei. Mi facevo pena da solo. Controllai il telefono e come al solito i miei amici erano in ritardo. Finalmente ritornai in me, mentre stavo uscendo da questo posto mi ritrovai di fronte a lei. Era serena, felice, rilassata mentre ballava. Ci guardammo per qualche secondo, speravo che non mi avesse visto…Richiuse gli occhi e uscii di corsa. ‘Cavolo, questa volta mi è andata bene…’ «Ma buonasera Cedric caro, finalmente ti ho trovato!» la voce di Ires interruppe i miei pensieri. «Ah ciao Iri, scusami ma stavo aspettando dentro…» «Tranquillo! Che dici entriamo a ballare? Ho voglia di scatenarmi!!» «Non dovremmo aspettare gli altri?» «Ho già avvisato che li avremmo aspettati dentro» Mi prese la mano e mi trascinò dentro. Iri era così impaziente a volte… Ci dirigemmo dritto alla zona bar «Andiamo prendiamo un drink! Dobbiamo iniziare al meglio la serata. Sento che questa sarà una serata indimenticabile!» Non avevo il coraggio di dirle che avevo già iniziato a bere in solitaria… «Va benissimo Iri» Primo bicchiere, secondo bicchiere, terzo bicchiere… «Iri, non credi di star esagerando con l’alcool?» «Oh andiamo Cedric! Anche tu hai bisogno di bere! Prenditi un altro drink» «Preferisco finire prima questo, magari dopo…Grazie…» Prese il cellullare e disse: «Ooh finalmente sono arrivati, usciamo anche noi.» Sapevo già il motivo per il quale voleva uscire… Erano tutti presenti. Restai all’entrata. «Non vieni anche tu?!» «Andiamo Ires lo sai che odio quando vendi quella roba di merda» «Sei il solito rompipalle, se solo provassi questa roba di merda, come la chiami tu, non penseresti costantemente al tuo povero cuore spezzato» Non so quante volte ho provato a convincere tutti a smettere di prendere quelle cose…Ma ormai ne sono totalmente dipendenti. Sono rimasto il solo del gruppo a detestare le droghe… Li salutai da lontano, mentre Ire gli passava la solita bustina piena di roba. Queste dinamiche mi avevano stancato. Sono davvero stufo di risolvere ogni volta i loro casini… Come se non bastasse si sono messi anche a fare una canna…Sarà sicuramente la quattrocentoventesima canna della giornata… Presi il cellullare per passare il tempo e senza accorgermene mi ritrovai con il suo numero sullo schermo…Feci partire una chiamata ma riattaccai subito…’Ma cosa ti viene in mente?’ I ragazzi si avvicinarono. Quell’odore penetrava nel naso. «Hey Ce, com’è?» mi salutò Fulvio con una pacca sulle spalle. «Bene Fù te?» «Ora molto meglio» disse mentre, ridendo, faceva il segno della sigaretta. 'Contento tu brò…' Ci buttammo nella mischia. Perfino la musica mi faceva pensare a lei...'Questo è proprio il suo genere' pensai. La troppa nostalgia mi stava buttando a terra...Dovevo prendere un altro drink... E Così, annebbiate, le ore passarono con leggerezza. In un certo senso era come se fossi insieme a lei.

«Beh ragazzi che dite di andare da qualche altra parte? Dai che la notte è giovane! Divertiamoci!»

Esordì Ire vicino a noi… Così, tutti d'accordo, uscimmo dalla discoteca. Mentre Ire stava salendo dalla parte del passeggero la presi per un braccio, fermandola e le dissi: «Ires, cosa credi di fare? Non puoi guidare in queste condizioni, per piacere dammi le chiavi» attendevo con il braccio teso verso di lei.

«Vedi che sono più sobria di te, non è certo qualche drink o qualche canna ad atterrarmi, siediti e non rompere. Beh ragazzi andiamo ora?»

Tutti annuirono.

Forse non aveva tutti i torti, avevo bevuto molto e non ero sicuro che lei avesse esagerato, esitai ancora un po', fin quando non mi disse: «Stai tranquillo Cedric, me la sento di guidare» mi tranquillizzò.

I miei occhi facevano fatica a restare aperti e la testa rimbombava in una maniera assurda. Mi dovevo sedere immediatamente, annuii e entrai in macchina. Avevo una percezione della realtà a pezzi, in più era tutto annebbiato. Il mio cellullare squillò. Non potevo crederci che lei mi stesse chiamando...Sgranai gli occhi incredulo e risposi con il cuore in gola...

Nonostante fossi a tratti assente, percepivo la preoccupazione nella sua voce e questo mi faceva uno strano effetto, la rassicurai come meglio potevo... Tutte le voci si sovrapponevano e io mi sentivo uno schifo. Dovevo concentrarmi per riuscire a parlare in maniera decente...

«Oh ma che palle! È quella stronza? Perché non riattacchi e la mandi al diavolo. Tu hai già me e non hai bisogno di nient'altro» Iri alzò il volume della radio.

Continuò incazzata «Ti ho detto ti riattaccare…Dammi quel maledetto cellullare così parlo io con lei! Dammelo» sterzò bruscamente il volante prima da un lato e poi dall'altro, finendo sull'altra corsia. La paura mi fece rinsavire, ebbi qualche istante di lucidità, presi il volante e cercai di tornare in carreggiata quando due enormi fari illuminarono l'intero abitacolo mentre il suono di un un clacson attirò la nostra attenzione...


Sottovoce

Anche oggi mi svegliai prima che la sveglia iniziasse a suonare quel suono tanto fastidioso, la disattivai immediatamente prima di dimenticarmi. Il tempo mi sembrava davvero pessimo in quel periodo, non vi era traccia di sole da un po’(…). Quella mattina i miei movimenti ricordavano quelli di un bradipo, mi trascinai in cucina fiondandomi sul frigo. Era pieno di cose buone che un tempo avrei mangiato più volentieri…Presi un bicchiere di macedonia e iniziai a mangiarlo, ma ogni boccone mi sembrava uno sforzo enorme, ma fortunatamente lo finii. Ma ciò di cui avevo davvero bisogno era una bella tazza di caffè, decisi di mettere due cucchiaini pieni di zucchero ma niente, era pessimo comunque, forse dovevo semplicemente smettere di bere una cosa che non sopportavo solo per svegliarmi. Una volta in bagno entrai direttamente in doccia, senza soffermarmi allo specchio, tanto sapevo in che condizioni fosse la mia faccia anche quel giorno. L’acqua fredda era davvero troppo, passai al getto caldo, i miei nervi si distesero completamente e mi rilassai… Mentre asciugavo i capelli con il phon notai come erano cresciuti ‘il tempo passa davvero velocemente, forse dovrei tagliarli corti…Oppure potrei farli crescere ancora di più’. Andai in camera mia, misi la prima cosa che mi capitò tra le mani, una felpa verdone con il cappuccio, un pantalone grigio e scarpe da ginnastica. Indossai il cappuccio, le cuffie e presi lo zaino. Non avevo la minima voglia di fare le scale, chiamai l’ascensore e aspettai un pochino…Non andavo di fretta, quel giorno avevo un esame nel primo pomeriggio ed erano appena le 10 del mattino, volevo andare in aula studio per ripetere le ultime cose. La fermata non era piena come le altre volte, ma in sessione era sempre così. Mi diressi direttamente in aula studio, una volta scesa dal bus, dovevo togliermi ancora dei dubbi su alcuni argomenti; trovavo esasperante ripetere fino all’ultimo, ma quell’esame mi aveva dato parecchio filo da torcere. Non ero sicura nemmeno di passarlo ma…Visto che ormai il dado è tratto…Giochiamocela bene… L’ora x si avvicinava così decisi di chiudere tutti i libri e dirigermi verso l’aula dove si sarebbe tenuto l’esame, mentre camminavo e ripetevo tra me e me vidi quella ragazza con quei grandi occhiali neri, e mentre la fissavo dritta negli occhi lei abbassò la testa, entrambe proseguimmo per la nostra strada facendo finta di nulla. Arrivata davanti l’aula vidi che da 35 iscritti eravamo presenti solo in 5, questa cosa mi lasciava un po’ perplessa però, allo stesso tempo, non vedevo l’ora di togliermi questo pensiero il più in fretta possibile. E, dopo un tempo che mi sembrava infinito era arrivato il mio turno. (…) Uscii dall’aula, diedi un sospiro di sollievo. ‘Finalmente è finita…’Nonostante mi fossi tolta un peso, sentivo ancora un senso di pesantezza. Ora volevo solo tornare a casa e sprofondare nel mio letto…Ma prima dovevo andare ancora in un posto… Mentre camminavo passai danti un negozio di fiori, mi fermai e decisi di prenderne uno…Non sapevo con l’esattezza quale ma appena la vidi ero sicura che fosse quello il fiore giusto…

«Sai, quella non fu una serata come le altre. Me ne accorsi subito, ma non ci badai più ti tanto, sai come sono…A volte mi fisso su cose assurde…Pensa che avevo l’impressione di essere seguita da qualcuno…Che assurdità vero?» «Però più le ore passavano e più quella serata diventava strana…In me si era insinuata una gran brutta sensazione che arrivava fin dentro le ossa…» «Volevo lasciarmi tutto alle spalle e godermi quella serata…Ma tu eri lì con me! Ti vedevo dappertutto…Forse avevo bevuto troppo…Lo sai che non reggo bene l’alcool, giusto? Forse te l’avrò detto qualche volta…Ah no, quando siamo usciti quella volta in pizzeria hai visto come con mezzo calice di vino ero già brilla…Che bella serata…Ti ricordi?» «Ero parecchio sorpresa quando ho visto che mi avevi cercata al telefono…Non me l’aspettavo…La musica era altissima e io non l’ho sentito squillare…» «Potevamo incontrarci e magari chiacchierare un po’ del più e del meno…Come due vecchi amici che non si vedevano da anni…Se avessi saputo che tu eri lì e non frutto della mia immaginazione…Saremmo stati tutti insieme…Per poi continuare ad ignorarci nei giorni seguenti…Dopotutto eravamo bravi in questo…Così tu…» «Quanto hai bevuto quella sera? Hai esagerato vero? Ma sì che l’hai fatto…Che domande…Perché? Dovevi dimenticare qualcosa per caso? O ti sei fatto trascinare?» «Scusami…E che sei così responsabile che ancora non ci credo che tu…Però tutti commettiamo degli errori, l’importante è rimediare…E perdonare…Giusto? Ma io non sono buona come te Cedric…Se fossi stato meno buono a quest’ora…» «Ho ascoltato quella canzone, sai? Mi piace tantissimo. L’ho persino messa all’interno di Viaggio, in realtà è diventata la mia nuova canzone preferita…Ti ringrazio per avermi mostrato un po’ di te…Me ne rendo conto solo ora…Meglio tardi che…No…Basta scuse…la verità che anch’io sono una frana in queste, lo sono stata con noi e soprattutto con te…Riuscirai a perdonarmi?» «E io ci riuscirò?» «Stai vedendo anche tu questo tramonto Cedric?» «Scusa…Sto blaterando troppo, vero?» ‘Non mi ero mai aperta con te come sto facendo ora.

Ma visto che provare a cancellarti era impossibile dovevo affrontarti, fin quando il mio cuore l’avrebbe sopportato, e fare i conti con la realtà.

Questa realtà che, come sale versato su ferite fresche, faceva malissimo; ma le ferite con tempo si rimarginano, il problema erano le cicatrici.

Allora qui, solo noi due, in questo posto che mi piace ancora definire nostro dovevo salutarti;

Qui dove tu mi avevi mostrato qualcosa e di nuovo, e io…Speravo di averti lasciato qualcosa di bello…’

Mentre il cielo si colorava di un blu sempre più scuro, adagiai una rosa bianca esattamente dov’eri l’ultima volta e proseguii con il mio viaggio





Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

 
 
 

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2 commenti

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brunobeatrice
06 feb 2023

Ho trovato il tuo racconto molto bello, semplice ma d'effetto e devo dire che ogni volta non vedevo l ora di leggere il seguito . Mi è piaciuto molto nonostante io ami i "lieto fine".

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Fabiana
Fabiana
06 feb 2023
Risposta a

In primis ti ringrazio per il commento, ma soprattutto ti ringrazio per il tuo supporto durante tutto il viaggio... Al prossimo viaggio, allora

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